Pensioni, ecco perché i precari incasseranno il 30% meno di chi ha un lavoro continuativo
Le rendite pensionistiche sono parametrate ai contributi versati. Per questo chi avrà minore continuità lavorativa va incontro a pensioni decisamente inferiori a quelle che potrà incassare chi svolge un'attività senza buchi contributivi. L'elaborazione, messa a punto dal professor Vincenzo Galasso, sarà presentata oggi in occasione degli Stati Generali delle Pensioni, organizzata dall'Università Bocconi e da Deutsche Bank. Vediamo alcuni casi concreti.
di Marco lo Conte
3. Pensioni precarie / I "temp" in fase di bassa crescita
(Corbis)
Non è solo la carriera lavorativa a determinare la pensione ma, come detto, anche il contesto economico: visto che il Pil è il moltiplicatore dei contributi o, per dirla in un altro mondo, è il tasso di rendimento con cui lo Stato rivaluta i contributi che gli vengono dati in "gestione", in caso di bassa crescita le pensioni sono più basse. Di quanto? Per lo stesso ex precario di prima, in caso di crescita media del Pil dell'1% contro l'1,5% precedente, l'esito è ben diverso: il tasso di sostituzione tra primo assegno pensionistico e ultimo stipendio è del 75%, pari a 976 euro al mese. Il che significa che la crisi è in gradi di ridurre le pensioni del 9,6% Anche rinviando ai 67 anni il momento del pensionamento la rendita sale solo all'80%, pari a 1041 euro al mese. Una situazione non troppo lontana da quella attuale, vista la fase recessiva che sta vivendo il sistema Italia negli ultimi anni.
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