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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2013 alle ore 14:09.

Quale futuro si prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale, inevitabilmente influenzata da quella americana? Con ogni probabilità, ci aspetta una crescita relativamente lenta, in linea con la dinamica evidenziata dall'inizio della ripresa nel giugno 2009. Tuttavia, se le cose funzionano ragionevolmente bene, il 2013 dovrebbe essere un anno migliore del 2012, e il 2014 migliore del 2013.

Uno scenario per il 2013-2014. Nel 2012 l'economia statunitense è stata deludente: la crescita del Pil in termini reali è stata appena dell'1,7% circa e il tasso di disoccupazione è rimasto su livelli elevati, a fronte di una netta diminuzione della dinamica dei ricavi e degli utili. Il disavanzo federale è rimasto su livelli insostenibili, accompagnato da un aumento del debito pubblico in percentuale del Pil.

Secondo lo scenario "Basic prospect" o baseline, elaborato da Decision Economics, la crescita economica in termini reali dovrebbe aggirarsi nel 2013 attorno al 2-2,5%; entro fine anno il tasso di disoccupazione dovrebbe calare gradualmente al di sotto del 7,5%, l'inflazione aggirarsi attorno al 2%-3%, e l'aumento degli utili aziendali al 7% circa, dopo un andamento complessivamente piatto nella seconda metà del 2012.
La Federal Reserve offrirà sostegno all'economia con la sua nuova politica di allentamen¬to quantitativo a tempo indeterminato (open-ended quantitative easing: tassi a breve termine vicini allo zero durante tutto l'anno) e accrescendo lo stato patrimoniale per contenere i tassi a lungo termine.

Con l'Europa che dopo aver toccato il fondo comincia a risalire, con il rafforzamento della crescita in Cina e in Asia (escluso il Giappone) e il miglioramento della congiun¬tura negli Stati Uniti, l'economia globale dovrebbe crescere più velocemente nel 2013, con una crescita di almeno il 2,5%, passando dalla quasi recessione del 2012 (con un tasso appena sopra al 2%) a una espansione sostenuta. Per il 2014, l'attesa è che l'e¬conomia globale cresca del 3% o oltre.

Secondo un'analisi più pessimistica, gli Stati Uniti potrebbero entrare in recessione se il cosiddetto "fiscal cliff" – una contrazione draconiana nella politica fiscale di 7.500 miliardi su dieci anni – colpisse l'economia senza correttivi. Nel caso intermedio di un fiscal cliff annacquato, la situazione sarebbe comunque peggiore del Basic Prospect: riuscirebbe a trascinare l'economia statunitense verso il basso, e il 2013 sarebbe come il 2012 o peggio.

Soprattutto nel 2013, l'andamento dell'economia americana avrà un'influenza decisi¬va su quello dell'economia mondiale. Il probabile miglioramento della Cina – che di¬venterà una forza positiva anziché negativa nell'economia mondiale – potrebbe essere bilanciato da un peggioramento dell'Europa, con ulteriori effetti negativi sull'econo¬mia globale e degli Stati Uniti. Il modo in cui Washington gestirà i propri problemi di bilancio sarà di cruciale importanza, considerato che gli Stati Uniti affrontano un problema macroeconomico senza precedenti: come gestire una crescita economica debole e una disoccupazione elevata a fronte di un livello insostenibile del disavanzo federale e del rapporto debito/pil?

IL BASIC PROSPECT E LE SUE IPOTESI DI FONDO. Secondo i nostri cal¬coli, lo scenario baseline per le economie statunitense e globale nel 2013-2014 preve¬de, dopo i rischi di recessione globale nel 2012, una più solida espansione, lievemente più forte e diffusa rispetto agli anni recenti, trainata dai consumi (circa il 70% del pil in termini reali) e dall'edilizia residenziale (circa il 3% dell'economia). Su questa pro¬spettiva pesano però un gran numero di "se" ovvero di "macro rischi" che potrebbero ostacolare, interrompere o comunque modificare lo scenario e le sue probabilità.

Una solida ripresa del settore privato, trainata dai consumi e dalle costruzioni, sarà difficile da bloccare e dovrebbe offrire un sostegno sufficiente a proseguire l'espansio¬ne. Tuttavia, la velocità della crescita e i rapporti dell'economia statunitense con il re¬sto del mondo dipenderanno in misura considerevole dalle misure di politica fiscale e monetaria adottate da Washington, insieme ovviamente ai provvedimenti presi altrove.

Negli Stati Uniti, i fondamentali che sottendono la spesa in consumi e l'edilizia abita¬tiva sono molto più favorevoli rispetto agli ultimi anni, anche se le prospettive per la spesa non sono minimamente comparabili a quelle di un tempo. La crescita dei con¬sumi in termini reali si collocherà al 2,1% nel 2013, con un esile miglioramento ri¬spetto all'1,9% del 2012. L'andamento in termini reali dell'edilizia residenziale – trai¬nata da una più vigorosa dinamica delle vendite di abitazioni e dell'avvio di nuove costruzioni (housing starts) – dovrebbe crescere di quasi il 10,5%. Più deboli saranno probabilmente le esportazioni nette, che rifletteranno il protrarsi della debolezza eco¬nomica dell'Europa e l'aumento della domanda statunitense di importazioni. La dina¬mica della crescita migliorerà in Asia, sotto l'egida della Cina, con l'eccezione del Giappone (tuttora in difficoltà e che dovrà probabilmente ricorrere a massicce misure di stimolo monetario e fiscale).

Il tasso di disoccupazione americano dovrebbe calare gradualmente, chiudendo l'an¬no poco al di sotto del 7,5%, con un miglioramento di circa mezzo punto percentuale rispetto al quarto trimestre del 2012. L'inflazione, misurata dall'indice dei prezzi al consumo cpi-u, resterà relativamente stabile, salendo tuttavia lievemente al 2-3%. I tassi di interesse probabilmente resteranno contenuti grazie alle misure espansive attuate dalla Federal Reserve, con l'espansione del suo stato patrimoniale. È previsto, negli utili operativi delle S&P500, un incremento del 6,5% rispetto al 2012, grazie all'effetto di fattori quali la riduzione dei costi (in particolare del lavoro), l'innovazio¬ne, l'uso di nuovi strumenti di it e software nella produzione, il rialzo dei prezzi e quindi dei ricavi, e la ripresa dell'economia globale. Il mercato azionario potrebbe registrare una nuova serie di rialzi arrivando a crescere di circa il 7%, quarto trime¬stre su quarto trimestre.

L'uragano Sandy, che ha devastato la costa orientale degli Stati Uniti tra fine ottobre e inizio novembre, e il protrarsi della siccità hanno colpito l'economia statunitense, ma si trasformeranno poi in un fattore di crescita di circa 200 miliardi su base annua nel primo semestre del 2013, grazie alla ricostruzione, alle spese rinviate dal quarto tri¬mestre e agli indennizzi assicurativi ad aziende e individui.

Per capire la situazione attuale possiamo pensare all'economia americana come a un'astronave lanciata in un'orbita dalla traiettoria abbastanza alta – soprattutto grazie alle misure di allentamento quantitativo della Federal Reserve (qe1 e qe2 nel 2009 e nel 2010) e al Recovery and Reinvestment Act del 2009 – ma comunque inferiore a quella desiderata. Per restare nella metafora, nello spazio vagano meteoriti che po¬trebbero colpire l'astronave e spingerla fuori rotta: il rischio del fiscal cliff e delle crisi europea e dell'eurozona. È probabile che la Federal Reserve continui a dare gas con il nuovo open-ended quantitative easing fino a che l'astronave non raggiungerà un'altitudine sostenibile (crescita economica reale più elevata e tasso di disoccupa¬zione inferiore).

Nel contesto delle modeste prospettive di crescita per gli Stati Uniti e le altre econo¬mie avanzate a seguito della crisi finanziaria e di quella dell'eurozona nel 2011-2012, lo scenario tracciato dal Basic Prospect non è così male, soprattutto se si esclude dai calcoli l'uragano Sandy, la siccità e il fiscal cliff. A questo punto, per sostenere queste prospettive relativamente ottimistiche, Washington dovrà concentrarsi sulla ricerca di una soluzione a più lungo termine ai livelli insostenibili del deficit federale e del de¬bito sovrano degli Stati Uniti.

Sette i rischi del Basic prospect.

1. IL FISCAL CLIFF. Il fiscal cliff è il principale rischio a breve termine per le prospettive economiche statunitensi e globali nel 2013. Ma di cosa si tratta esattamente? Il termine è stato coniato dal governatore della Federal Reserve Bernanke in un intervento del febbraio scorso1 e fa riferimento al combinarsi della scadenza di sgravi fiscali contenuti nella normativa e della serie di tagli lineari decisi dal congresso nel 2011 per "incentivare" il raggiungimento di un accordo sullo smisurato deficit federale e il crescente rapporto debito pubblico/pil.

Nel 2011 – nonostante le raccomandazioni molto simili formulate dalla Commissione bipartisan sul deficit Bowles-Simpson e dalla Task Force Domenici-Rivlin sulla gestione del deficit e del debito – il congresso e il presidente non sono riusciti a raggiungere un accordo2. Dopo un periodo di stallo, le discussioni sono proseguite con una serie di incontri segreti tra lo speaker della camera John Boehner e Obama. Ma neanche questo è bastato per trovare una soluzione.

Per costringere il congresso e il presidente a raggiungere un accordo, nel 2011 è stata approvata una legge che introduce tagli lineari e automatici alle spese del governo federale a partire dal 2013, che sarebbero equamente divisi fra difesa e altri settori per circa 1.200 miliardi di dollari in dieci anni. Sempre nel 2011, sono stati legiferati altri tagli per 900 miliardi di dollari, in un aspro scontro tra congresso e presidente che è servito, nell'immediato, a consentire l'aumento del tetto del debito pubblico federale.

La legge prevede inoltre la scadenza a fine 2012 di una serie di sgravi fiscali, i quali insieme ad aumenti delle aliquote e altre imposte, dovevano portare nelle casse dell'erario circa 5.000 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Gli sgravi includono: i tagli alle imposte su reddito, plusvalenze e dividendi introdotti da Bush nel 2001 e 2003; un credito d'imposta sui contributi previdenziali di natura temporanea, introdotto nel 2010 per il 2011 e nuovamente nel 2011 per il 2012, a favore di tutti i lavoratori dipendenti; l'imposta minima alternativa e altri crediti d'imposta. Infine, sono previsti aumenti fiscali per le famiglie ad alto reddito (da 250.000 dollari in su) per contribuire a finanziare l'Affordable Care Act, anche detto Obamacare. Fra questi, figura un aumento di 3,8 punti percentuali sulle plusvalenze.

Il fiscal cliff, dunque, si riferisce a un taglio drastico dei conti pubblici di 500+ miliardi nel 2013 (divisi in 335 miliardi di aumento delle imposte e 165 miliardi di minori spese), accompagnato da netti decrementi della crescita economica in termini reali.

Certo, quella contrazione della politica fiscale rappresenterebbe senza dubbio un passo importante verso la soluzione del problema del debito sovrano americano, o almeno la dilazione della resa dei conti, considerato che negli Stati Uniti il rapporto debito/pil è superiore al 100% e continua a crescere. Nel contempo, tuttavia, ucciderebbe sul nascere la ripresa americana, producendo una recessione non solo negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo, accompagnata da ingenti perdite di attività economica.

2. LA CRISI DELL'EUROZONA. Un secondo importante macro rischio riguarda la recessione in atto in Europa che interessa l'85% del pil dei paesi ue, che rappresentano a loro volta una grossa parte del pil globale.
La recessione – iniziata nell'eurozona, partendo dall'Irlanda per poi passare alla Grecia e al Portogallo – si è diffusa a causa degli stretti rapporti commerciali che uniscono i paesi europei, delle misure di austerità fiscale (sia imposte che volontarie), della netta decelerazione delle economie cinese e asiatiche, e della performance deludente dell'economia statunitense.

La debolezza interna ed esterna all'Europa danneggia le esportazioni. La fragilità della situazione finanziaria ha indotto alcuni paesi a chiedere aiuti finanziari, che sono stati accompagnati da misure pesanti, essenzialmente di austerità. Ciò ha indebolito ulteriormente l'economia dell'eurozona. La congiuntura sfavorevole si è quindi intensificata ed estesa ad altri paesi, alimentata da vari fattori: la crisi finanziaria europea (legata al debito sovrano di economie in difficoltà reali o potenziali), la svalutazione delle attività nei bilanci bancari, la stretta creditizia e la necessità di procedere a salvataggi per diversi paesi. La politica monetaria della Banca centrale europea (bce), pur animata da buone intenzioni, era ed è focalizzata solo sulla crisi e non riesce a offrire lo stimolo monetario di cui l'Europa intera ha bisogno: tassi di riferimento più bassi per indebolire l'euro, credito al sistema bancario e, soprattutto, espansione dello stato patrimoniale della bce stessa, con un impegno a mantenere tale espansione fino a un miglioramento sensibile delle economie europee.

Sul versante fiscale, ha prevalso una politica di contrazione e austerità. Le condizioni associate ai prestiti sono state particolarmente punitive, come sempre accade in queste situazioni. Sul versante politico, l'incapacità di definire una risposta ha peggiorato la situazione europea, con lunghi ritardi nel riconoscimento della crisi, nella formulazione delle politiche, nella loro attuazione. In sostanza, pur essendo poco pesante in termini di pil a prezzi costanti, la diffusa e lunga recessione europea rappresenta un pericolo significativo per l'economia statunitense e quella globale.

In ultima analisi, un'economia in recessione tocca il fondo e comincia a risalire quando si verificano spostamenti della dinamica economica che innescano la ripresa.
Poiché mancano le politiche macroeconomiche in grado di facilitare un'inversione di tendenza, la crisi europea continuerà probabilmente a protrarsi, e sarà più profonda di quanto sarebbe stata con una risposta diversa.

Il relativo indebolimento dell'economia cinese ha depresso i flussi commerciali nel paese e in tutta l'Asia, mentre il calo della domanda dell'Europa e dell'Asia ha ridotto le esportazioni americane. In termini reali, la crescita delle esportazioni statunitensi ha toccato un nuovo record nel secondo trimestre del 2012, ma è poi scesa all'1,6%, su base annua, da oltre il 6% di un anno fa. Anche la dinamica delle importazioni americane ha segnato un rallentamento. L'indebolimento dei flussi commerciali statunitensi riflette quello dell'economia globale, e ha inciso negativamente su numerose imprese nel settore finanziario, commerciale o delle transazioni.

Il "rischio Europa" per l'economia mondiale è quello di un ulteriore deceleramento della dinamica della domanda interna, che trasmetterebbe un ulteriore impulso negativo alle economie di Cina, Asia e Giappone, in particolare sul terreno delle esportazioni. Nel complesso, gli impulsi negativi sulle esportazioni derivanti da Europa e Asia ridurrebbero le esportazioni degli Stati Uniti, indebolendo il settore industriale e limitando la creazione di posti di lavoro, con conseguente riduzione della spesa per consumi, ovvero del pilastro della crescita nel nostro Basic Prospect.

3. IL FATTORE CINA. Una delle ipotesi favorevoli nel nostro scenario è la Cina. La crescita economica cinese è scesa da quasi il 12% su base annua al 7,5% nel 2011-2012: ma questo calo di quasi cinque punti percentuali è stato perseguito deliberatamente, con l'adozione di politiche macroeconomiche restrittive.

Quella manovra – finalizzata a favorire la transizione da un'economia in "spumeggiante" espansione (con inflazione al 6-7%) a un'economia con un target di inflazione al 2% – ha trasmesso un considerevole impulso negativo alla crescita in tutta l'Asia ed è sicuramente all'origine dell'indebolimento delle esportazioni tedesche. L'obiettivo cinese di rallentare la crescita ha avuto un effetto domino in tutta l'economia mondiale, soprattutto attraverso i flussi commerciali. La decelerazione della crescita in Cina, Asia e poi in Europa ha ovviamente avuto un impatto sulle esportazioni degli Stati Uniti, che a sua volta si è trasmesso in tutto il Nord America e nell'economia mondiale, contribuendo a rallentare le attività.

Tuttavia, Pechino sembra ormai aver conseguito il suo obiettivo, pilotando l'economia verso un "atterraggio morbido". Per impedire ulteriori rallentamenti, Pechino ha adottato misure monetarie e fiscali di stimolo. Le dinamiche interne del ciclo economico cinese, insieme agli stimoli macroeconomici e alla transizione a una nuova leadership politica, produrranno probabilmente un aumento della crescita nei prossimi anni e ciò a sua volta avrà un impatto favorevole sulle esportazioni asiatiche, stimolando le economie del resto del mondo.

4. LA DEBOLEZZA DEGLI UTILI. Un altro "macro rischio" è rappresentato dal netto calo dei ricavi e degli utili registrato dalle imprese statunitensi negli ultimi trimestri. Se consideriamo le imprese nell'S&P500 come un campione dell'economia del paese, gli ultimi dati aggregati relativi al terzo trimestre 2012 evidenziano una crescita dei ricavi su base annua del 2% scarso. Gli utili operativi nelle S&P500 hanno evidenziato una dinamica sostanzialmente piatta su base annua nel secondo e terzo trimestre, rispettivamente con un calo dello 0,1% e un aumento dello 0,1%; per un confronto, nel 2011 ricavi e utili erano cresciuti a tassi attorno al 10%. I margini di profitto sono rimasti vicino al 10% in tutto il periodo, beneficiando di un miglioramento della gestione dei costi, dell'aumento della produttività e della sostituzione del lavoro con capitale.
Nei cicli economici statunitensi è capitato spesso che il calo della crescita di ricavi e utili aziendali abbia anticipato una recessione. Di fronte a una percepita riduzione permanente di vendite e utili, infatti, le aziende tendono a ridurre le assunzioni, gli investimenti, la produzione e le scorte. A volte le imprese arrivano a tali decisioni con un certo ritardo. Ma nei cicli economici recenti, le imprese dell'S&P500 non hanno esitato a rispondere al calo del fatturato e degli utili con una rapida riduzione delle spese in conto capitale e delle assunzioni.

Il dubbio riguarda le previsioni di rinnovata crescita di ricavi e redditività nel 2013. Una ripresa della spesa per consumi e un rafforzamento dell'economia statunitense – accompagnati da un'inversione della tendenza al calo dell'Europa e da una accelerazione della crescita economica cinese – produrrebbero un aumento dei ricavi e degli utili delle società statunitensi e un'accelerazione della crescita degli utili nel secondo trimestre del 2013. Ma questa ipotesi resta molto dubbia.

5. LA POLITICA MONETARIA DELLA FED: UNA PROSPETTIVA POSITIVA. Se la Federal Reserve mantiene il suo orientamento espansivo e riduce ulteriormente i tassi, il mercato del lavoro e il tasso di disoccupazione americani dovrebbero migliorare in modo significativo.
Una nuova versione delle misure di allentamento quantitativo lanciate nel settembre 2012 prevede provvedimenti aperti che manterranno i tassi di interesse a breve termine sostanzialmente pari allo zero per tutto il tempo necessario a far scendere il tasso di disoccupazione, portandolo il più vicino possibile al livello di piena occupazione.

La Fed ha segnalato di essere pronta ad acquistare titoli al fine di mantenere "condizioni finanziarie" favorevoli all'economia e al mercato del lavoro. Tali condizioni finanziarie comprendono il livello e la struttura dei tassi di interesse, il dollaro, il mercato azionario, e qualsiasi altro effetto derivato dalle misure assunte dalla Federal Reserve sui prezzi di queste e altre attività.

Il fatto che questa politica sia a durata indeterminata è una novità. È probabile che la Fed colleghi ulteriori misure di allentamento a variabili economiche quali il tasso di disoccupazione e di inflazione, anziché, come in precedenza, a una data specifica. Con gli attuali "obiettivi" di piena occupazione e stabilità dei prezzi, questa politica monetaria espansiva sembra destinata a durare a lungo.

Le indagini realizzate dalla Fed e altri istituti indicano che l'allentamento quantitativo ha effettivamente ottenuto una riduzione dei tassi di interesse, un deprezzamento del dollaro e un rialzo dei prezzi delle azioni; fattori che, a loro volta, hanno contribuito a produrre una ripresa ormai molto evidente, oltre che un'espansione dell'edilizia residenziale e un sostanziale miglioramento della posizione finanziaria delle famiglie. Quest'ultimo è un prerequisito fondamentale per aumentare la spesa per consumi.

Avendo praticamente garantito che i tassi di interesse a breve termine resteranno vicini allo zero almeno fino al 2015, l'allentamento quantitativo "aperto" promette un lungo periodo di tassi abbastanza bassi anche a lungo termine. Un basso livello dei tassi rende una valuta meno attraente di altre con tassi di interesse più alti, o che si prevede aumentino, e la cosa è di sostegno alle quotazioni delle azioni. I tassi a lungo termine influiscono sul costo del capitale per le imprese, gli hurdle rates e gli investimenti. Infine, il livello dei tassi a lungo termine, in particolare sui mutui, influisce sull'edilizia, sui prezzi delle case e sulla ricchezza delle famiglie. Quest'ultimo fattore contribuisce – sia pure scontando un ritardo – alla spesa per consumi e di riflesso sostiene l'economia nazionale e mondiale.

6. IL DEBITO SOVRANO DEGLI STATI UNITI. Il principale problema di policy è come accelerare la crescita dell'economia e ridurre la disoccupazione senza accrescere il deficit federale (o, formulato diversamente, come ridurre il deficit di bilancio e l'aumento del debito sul pil mantenendo una crescita economica ragionevole).

Una politica monetaria espansiva può offrire lo stimolo necessario, ma anche in questo caso ci sono lunghi ritardi fra la riduzione dei tassi e il manifestarsi di un miglioamento nell'economia. Sarà sicuramente indispensabile adottare un qualche piano per ridurre i nostri insostenibili deficit e la crescita del debito sul pil, ma un eccessivo rigore fiscale sarebbe controproducente. Troppo poco rigore (per esempio con riduzioni del deficit pari a 1.000-2.000 miliardi sui prossimi 10 anni) rischia invece di lasciare che il debito pubblico lordo cresca più rapidamente del pil nominale, aumentando così il rapporto tra quel debito e il pil. La sfida per gli Stati Uniti sta nel trovare la giusta combinazione di tagli alle spese e aumenti delle imposte.

Oggi si tende a ritenere che il rischio del debito sovrano per l'economia statunitense sia contenuto. Nondimeno, la mancanza di misure sufficientemente incisive nel 2013 potrebbe produrre un declassamento del rating sul debito sovrano degli Stati Uniti, gettando i mercati finanziari statunitensi nel caos e danneggiando lo scenario del Basic Prospect.

7. I FATTORI GEOPOLITICI. Un ulteriore rischio per il nostro scenario proviene dalla possibilità di un conflitto in Medio Oriente e dalle tumultuose istanze di cambiamento nella regione. La possibilità di un conflitto tra Israele e Palestina e/o tra Israele e Iran, e quella di uno scontro sul programma nucleare iraniano rappresentano un rischio geopolitico che continua a pesare sulle prospettive degli Stati Uniti.
L'aumento dei prezzi del petrolio che seguirebbe certamente l'avvio di una guerra produrrebbe un'impennata dei costi energetici e il rincaro di una vasta gamma di beni e servizi, ponendo un freno alla crescita dei consumi, delle imprese e dell'economia e causando un aumento quanto meno transitorio dell'inflazione.

La spinta recessiva di un rincaro del petrolio dovuto a una crisi in Medio Oriente è una legittima causa di timore. Negli ultimi anni, troviamo un solo esempio di impennata incontrollata dei prezzi del greggio che abbia contribuito a un rallentamento negli Stati Uniti: nel 2007-2009. In quel periodo, tuttavia, si stavano verificando altri terremoti economici e finanziari, e l'impatto del petrolio ha solo aggravato una situazione già debole in partenza.

WASHINGTON AL CENTRO. Oggi più che mai in passato, Washington ha un ruolo cruciale non solo per l'andamento dell'economia statunitense nel 2013 e oltre, ma anche, in una certa misura, per l'economia globale. Se tutto procede secondo le nostre previsioni, le prospettive globali e per gli Stati Uniti nel 2013 sembrano ragionevolmente positive rispetto agli ultimi anni: la crescita economica in termini reali sarà probabilmente più vigorosa e se i consumatori americani sosterranno la ripresa, il miglioramento interesserà anche l'economia globale. Se ci sarà una ripresa del mercato immobiliare, se l'economia europea inizierà una risalita, e se la Cina si riprenderà, dando fiato anche alle altre economie asiatiche, l'intera economia mondiale crescerà e l'attività economica sarà più vigorosa.

Tuttavia, su questo scenario pesano dei "se" significativi. Bisognerà che si verifichi una serie di condizioni favorevoli perché l'economia americana e quella globale registrino un'espansione sostenibile, ad un ritmo più sostenuto che nel 2011 e 2012.

Al centro di tutti questi macro rischi si colloca comunque Washington: è giunta l'ora di risolvere i problemi di tassazione e spesa del governo federale nel quadro di un piano per ridurre il deficit federale e la crescita del debito sul pil, evitando nel contempo di provocare un calo significativo della crescita economica degli Stati Uniti. Si tratta chiaramente di un'impresa difficile ma che deve essere formulata, almeno a grandi linee, in termini di obiettivi e traguardi.

Purtroppo, va constatato che le prestazioni dei leader politici nella gestione della politica economica non sono state brillanti in questi tempi di crisi.

Negli Stati Uniti, dietro il dibattito e le divisioni politiche, vi è un vecchio scontro tra filosofie e obiettivi diversi, collegati a differenti priorità sociali. Il presidente Obama, i leader democratici e i politici orientati a sinistra vogliono aumentare le imposte, soprattutto sui redditi più elevati, e contenere i tagli alla spesa, in particolare quella per i programmi sociali che offrono sostegno al reddito di molti americani, aumentando gli investimenti in infrastrutture e istruzione. I repubblicani e i cittadini di centro-destra, invece, vogliono riportare sotto controllo la spesa del governo federale (in particolare quella per prestazioni assistenziali, che oggi è vicina al 25% dell'economia) e utilizzare i fondi risparmiati per stimolare la crescita attraverso la riforma fiscale. Il loro obiettivo è ridurre, o comunque tenere costanti, le aliquote fiscali per tutti, ampliando la base imponibile.

Il modo in cui Washington risolverà questi problemi per conto del popolo americano, a breve e lungo termine, è l'incognita più grande.
Allen Sinai è chief economist e presidente di decision Economics, Inc., New York, Londra, Boston.

* L'articolo di Allen Sinai è uno stralcio del suo intervento contenuto nel numero di Aspenia in edicola

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