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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2013 alle ore 07:47.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2014 alle ore 14:57.

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«Caro direttore, ho letto (casualmente di fila) i suoi ultimi tre memorandum domenicali. Da storico, in questi ormai non pochi anni di lavoro, ho imparato a conoscere i veri architetti della ricostruzione: Menichella, Saraceno, Einaudi, Pescatore. Se fossimo negli Stati Uniti, questi "tecnici" sarebbero qualcosa di più che eroi borghesi confinati nei libri di storia.

L'episodio dell'autoriduzione della diaria e dell'adattamento a un unico pasto quotidiano, l'avevo letto in un raro documento d'archivio dell'ottobre del 1947 e ne ho la copia sotto il vetro della mia scrivania a memoria di un tempo che oggi pare quasi impossibile sia esistito». Mauro Campus, facoltà di Scienze Politiche dell'università di Firenze, mi scrive per sottolineare che a questi uomini si deve «la reintegrazione dell'Italia nel sistema internazionale, in maniera molto meno appariscente ma duratura, di tante successive parate», e mi esorta a ricordare «uno degli ultimi esponenti di quella generazione di tecnici che hanno servito la Repubblica con abnegazione straordinaria e, a quanto pare, irripetibile» che risponde al nome di Paolo Baffi, baluardo morale di questo Paese, scomparso più di vent'anni fa.

Grazie, professor Campus, raccolgo volentieri l'invito. La cifra civile e le qualità ideative ed esecutive che hanno segnato, come diceva lui, il "quinquennio di fuoco" di Baffi da governatore della Banca d'Italia, sono identiche a quelle dei Menichella e dei Pescatore. Anzi, per l'inaudito attacco giudiziario di cui lui e un galantuomo come Mario Sarcinelli furono oggetti, il grande esperto di economia monetaria Baffi, l'uomo che convinse da tecnico il cancelliere Schmidt e ottenne la "banda più larga" affinché anche noi potessimo entrare nello Sme, merita soprattutto il titolo di "Governatore della Vigilanza" honoris causa.

Italcasse, Banca Privata Italiana, Banco Ambrosiano è questo il triangolo "di fuoco" che misura «l'indipendenza e la serietà dell'impegno» che i servitori dello Stato, Baffi e Sarcinelli, pagarono ingiustamente con il prezzo delle dimissioni e (nel secondo caso) addirittura del carcere. In una lettera privata, di qualche anno dopo, Baffi ringrazia Guido Carli, diventato senatore della Repubblica, per avere citato un suo saggio in un intervento in Aula e si sofferma sull'importanza (straordinariamente attuale) di avere alla "Camera alta" uomini competenti. A me sono rimaste impresse le ultime righe di quella lettera: «Oggi ricorre (anche) il quinto anniversario dell'attacco giudiziario alla Banca: era un sabato, come questo. A ben vedere, persone grette, anni di generalizzazione di comportamenti criminosi, a tutti i livelli». Erano già cambiati (e di molto) i tempi rispetto alla stagione del miracolo economico italiano. Amaramente, purtroppo.

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