Trentasette milioni di abitanti è come dire tutta la popolazione della Polonia. Solo che per vivere avranno a disposizione uno spazio grande appena il 2,3% di tutto il territorio polacco. Trentasette milioni saranno gli abitanti della più grande megalopoli del mondo fra vent'anni. Che a sorpresa non sarà Tokyo, né Shanghai né Rio de Janeiro. Ma Giakarta, la capitale dell'Indonesia.

Alzi la mano chi l'ha vista in foto o sa qual è il suo monumento simbolo. Eppure bisognerà cominciare a conoscerla, perché la terza generazione delle megalopoli mondiali comincia proprio da qui. C'è stata l'epoca delle metropoli come Londra e New York, poi l'era 2.0 delle megalopoli modello Mumbai, Shanghai o Città del Messico, che dura ancora oggi. Nel 2030 sarà la volta della generazione 3.0, quella delle globalopoli. Si concentreranno in Asia e in Africa, ricomprenderanno alcune delle megalopoli attuali - come Mumbai o Shanghai – ma ne includeranno di nuove, come Manila o Il Cairo. Questi nuovi giganti porranno sfide in parte note, ma porranno anche sfide inedite.

La prima riguarda chi finanzia le infrastrutture necessarie a sostenerne la crescita: strade, ferrovie, trasporti urbani, scuole, ospedali, reti idriche, smaltimento dei rifiuti, energia, sicurezza. Perché il denaro pubblico è largamente insufficiente e la coperta dei finanziamenti a fondo perduto è corta. Morale: i mattoni delle megalopoli del futuro saranno i privati. La formula è quella del partenariato col pubblico, come spiega Andrea Colantonio, coordinatore della ricerca all'LSE Cities, il centro della prestigiosa London School of Economics nato per studiare il futuro delle città. «Le autorità tracceranno le linee guida del piano di sviluppo, i privati creeranno società miste per costruire le infrastrutture e poi anche gestirle. In parte, dunque, dovranno anche fornire i capitali per farlo». E se non forniranno direttamente loro tutti i soldi necessari, la quota restante dovrà arrivare da altre forme di finanziamento privato: «Penso all'emissione di Bot locali, ad esempio – spiega Colantonio – ma anche a un accresciuto ruolo degli investitori istituzionali come le banche per lo sviluppo o i fondi pensionistici, che offrono anche il vantaggio di avere una visione di lungo periodo, perfetta quando si parla di piano di sviluppo di una città».

Un esempio dell'immenso giro d'affari che si apre ai privati? Stando alle proiezioni Booz, Allen, Hamilton, 7.800 miliardi di dollari - di cui la metà in Europa e Nordamerica - dovranno essere spesi da qui al 2030 per il fabbisogno di strade e ferrovie delle grandi città del mondo. Soltanto per le metropoli asiatiche, invece, serviranno 16mila miliardi di dollari di investimenti in reti idriche ed energetiche.

La seconda sfida delle globalopoli di domani comincia già nelle megalopoli di oggi e si chiama sostenibilità. A dicembre, di fronte a un uditore d'eccezione come il presidente Obama, verranno presentati i risultati di uno studio che sta coinvolgendo due pesi massimi tra i think-thank mondiali, la London School of Economics, appunto, e l'americana Brookings Institution. Il progetto si chiama «The next urban economy» e immagina l'economia delle metropoli del futuro: un mix di green economy e di innovazione tecnologica, condita con una spiccata vocazione all'export.

L'obiettivo dell'ecosostenibilità nasce da una constatazione: che il 70% della popolazione mondiale nel 2050 vivrà in città (fonte Onu), e che la sostenibilità ambientale, lo smog, l'energia rinnovabile o le auto elettriche saranno determinanti. Mancano 40 anni, il tempo giusto perché una politica implementata oggi dia i suoi frutti. «Del resto, fra le megalopoli di oggi non vedo esempi virtuosi di sviluppo urbano sostenibile», chiosa Colantonio. Segno che questa sfida è tutta da costruire.

La terza riguarda la governance. Le globalopoli hanno bisogno di un'entità amministrativa adatta a ricomprenderle tutte e in grado di anticiparne i bisogni con grande efficienza. Oggi il Comune di Mumbai controlla solo il 65% del proprio agglomerato urbano, quello di San Paolo il 57% e quello di Città del Messico addirittura il 44 per cento. «Autorità coerenti sono necessarie anche per guidare l'intervento dei privati», aggiunge Colantonio, mentre per Tobias Just, della Deutsche Bank research, «governance significa anche la capacità di creare nuove città alternative. Per decongestionare quelle esistenti, o per sviluppare altre aree depresse del paese. Magari partendo dall'istituzione di una Zona economica speciale, come nel caso di Shenzen, una megalopoli nata dal nulla».

L'ultima sfida, ma non in ordine di importanza, riguarda l'immigrazione. Che dal punto di vista politico ha a che fare con gli scontri sociali, ma da uno più strettamente economico ha a che fare con i consumi. A differenza di metropoli della prima ora come Londra o Parigi, le globalopoli 3.0 saranno un mix inedito: l'immigrazione internazionale sarà solo di fascia alta, mentre quella non qualificata proverrà quasi esclusivamente dalle campagne del resto della nazione. E questo, ricordano da Euromonitor, si ripercuote sui consumi. Di per sè, la concentrazione della popolazione in città semplifica la catena distributiva dei prodotti. Dopo di che, bisognerà tarare l'offerta sull'identikit degli abitanti. Beni di fascia alta per l'immigrazione internazionale e per la classe media, che si concentrerà solo in determinati quartieri. E prodotti più local, più tradionali, nei sobborghi abitati dai nuovi arrivi dalla campagna.
micaela.cappellini@ilsole24ore.com


ANALISI A CONFRONTO
London School of Economics
«È finita l'era dei fondi pubblici: oltre a costruirle, le aziende finanzieranno anche le infrastrutture»

Deutsche Bank research

«Occorrono nuove autorità amministrative che abbiano giurisdizione su tutto il territorio»

Booz, Allen, Hamilton

«Entro il 2030 dovranno investire 7.800 miliardi di dollari tra ferrovie, strade, acqua ed energia»

Euromonitor

«Il mix inedito di immigrati porterà le aziende a ritarare l'offerta di beni e servizi»

 

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