Il decreto con quale il governo Berlusconi, nel quadro del soccorso europeo, stanzierà oltre 5 miliardi a sostegno della Grecia dovrà essere esaminato e poi approvato dal Parlamento. Non s'annunciano sorprese o strappi particolari: prevale la convinzione, per dirla con le parole del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, che quando la casa del vicino va a fuoco, «anche se è una casa piccola e magari è colpa sua, non conviene far finta di niente ma conviene dargli l'estintore, perché altrimenti il fuoco arriva anche casa tua». Insomma, è possibile che sul caso greco si affermi una larga maggioranza bipartisan, in scia con le decisioni prese dai capi di governo europei.
Tutto bene? Certo. Ma potrebbe andare ancora meglio, e dunque benissimo, se l'occasione del confronto alla Camera e al Senato non fosse rubricata come una sorta di atto dovuto, da assolvere in nome di un'emergenza.

Non abbiamo bisogno di confronti scontati, all'interno dei quali magari spunta anche qualche nota polemica in chiave di politica interna sulle prospettive dell'economia italiana. Di qua la posizione del governo, che difende l'impegno preso dell'Italia a Bruxelles per una correzione dei conti pubblici dello 0,5% del Pil nel 2011; di là l'opposizione, che accredita la necessità di una manovra ben più forte e accusa l'esecutivo di scarsa incisività a sostegno della ripresa.
Piuttosto, occorrerebbe che nelle Camere di uno dei sei paesi "fondatori" dell'Europa s'alzasse la posta, ritirando a lucido qualche pagina di buon costume parlamentare e discutendo in modo serio sullo stato della costruzione europea. Che da qualunque parte la si voglia vedere è a un punto di svolta, in bilico tra rilancio e ripiegamento.

Nel dicembre 1978 la Camera discusse l'adesione dell'Italia al nascente Sistema monetario europeo (Sme), evoluzione del "serpente" dal quale Roma era uscita qualche anno prima. L'allora governo (di "solidarietà nazionale") Andreotti portò a Montecitorio il piano per un'adesione immediata allo Sme, il Pci di Berlinguer era contrario e condivideva la riserve tecniche del Governatore Paolo Baffi. Il Pri di Ugo La Malfa decisamente a favore. L'ultrasinistra di Lucio Magri e Luciana Castellina contraria. La sinistra indipendente divisa tra Luigi Spaventa (contrario) e uno dei padri del "Manifesto di Ventotene" per l'Europa, Altiero Spinelli (favorevole), a sua volta in sintonia con Marco Pannella, per il quale «stare fuori non significa nulla». Mentre i socialisti di Bettino Craxi e Fabrizio Cicchitto puntavano a una soluzione mediana, con un'adesione di principio.

Fu un gran dibattito. Tecnico e politico, proprio nel momento (curiosità della storia) in cui Grecia, Portogallo e Spagna chiedevano l'adesione alla Comunità europea, la Germania del Cancelliere Helmut Schmidt poneva le sue condizioni e la Gran Bretagna del premier James Callaghan si tirava indietro. Le contrapposizioni ideologiche, per larghissima parte, restarono fuori dal confronto. Giorgio Napolitano, allora nel Pci, era per il «non ingresso immediato» e spiegò la sua dottrina a cavallo tra difesa degli interessi nazionali e impegno per il rilancio dell'integrazione europea.

Favorevoli o no, venne comunque scritta una bella pagina parlamentare in un momento di svolta per l'Europa. Potrebbe ricapitare?

 

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