Molti sostengono che il salvataggio della Grecia, messo in atto grazie alle nuove linee di credito dai paesi dell'eurozona, è l'unica via per evitare di mettere in pericolo il sistema monetario europeo ed evitare una crisi sistemica. Altri commentatori rovesciano questa analisi. La solidità del nostro sistema monetario potrebbe essere minacciata proprio da una strategia di prestiti a fondo perduto. Quanto al contagio, sembra che nessuna dichiarazione, per quanto autorevole, dei governi e della Banca centrale riesca a fermarlo.

La crisi greca e il contagio a Spagna e Portogallo non sono colpa degli speculatori, delle agenzie di rating o delle reticenze del governo tedesco. Dovremmo riflettere, piuttosto, sul modo in cui le istituzioni politiche europee hanno impostato il problema della responsabilità fiscale dei paesi membri, sin dai tempi della creazione del sistema monetario. In particolare, mentre è necessario imporre il rispetto dei limiti ai disavanzi pubblici con maggiore rigore, non è utile né credibile dichiarare che nessun paese dell'eurozona potrà mai essere insolvente in qualsiasi circostanza. Se crediamo all'Europa come un sistema economico e giuridico integrato, dovremmo cercare di gestire in modo efficiente le situazioni d'insolvenza, accettando, allo stesso tempo, che il debito sovrano sia valutato dai mercati in relazione alle prospettive di crescita e alla sostenibilità dei bilanci dei paesi debitori (e, quindi, alla probabilità che il debito sia ripagato a scadenza). Questo limiterebbe il rischio morale e indurrebbe maggiore responsabilità degli stati e delle banche creditrici nelle scelte finanziarie.

Oggi la Grecia ha poche possibilità di realizzare il consolidamento fiscale e le riforme economiche necessarie per ripagare il debito estero, nonostante le nuove linee di credito concesse. Tassi d'interesse medi del 7% sono un peso insopportabile per un paese che ha prospettive di crescita negative e una spesa pubblica difficilmente comprimibile nell'immediato. È molto probabile che, a breve, si renda necessaria una ristrutturazione, cioè un allungamento delle scadenze, un taglio delle cedole e della consistenza del debito. L'aumento degli spread è dunque fisiologico. Il vero problema è che l'incertezza generata dalla fragilità della Grecia e dal comportamento erratico delle istituzioni e dei governi alimenta i rischi di contagio, minacciando la stabilità del sistema monetario europeo. Non sarebbe meglio allora cercare di eliminare questa incertezza alla radice anticipando la ristrutturazione? È possibile che i costi di una ristrutturazione siano inferiori a quelli causati dalla strategia seguita finora?

Proviamo a fare un po' di conti. La parte di debito greco detenuta all'estero è pari a circa 240 miliardi di euro, in gran parte nei portafogli delle banche europee. Questa cifra rappresenta il valore nominale a scadenza delle obbligazioni in circolazione, e non il valore di mercato. Quest'ultimo è decisamente inferiore, in quanto i mercati prezzano la possibilità di un ripagamento parziale. Se, per semplicità, consideriamo una scadenza media a cinque anni e un rendimento del 7%, il valore di mercato della parte di debito greco detenuta all'estero è pari a circa 175 miliardi. Con un piano di ristrutturazione che equivalga a un taglio del valore nominale delle obbligazioni greche del 30%, la perdita in conto capitale non sarebbe superiore ai 50 miliardi. La stima è sicuramente in eccesso, perché il debito greco non è tutto in mano alle banche europee. In ogni caso, 50 miliardi sono una cifra importante, ma inferiore all'1% del totale degli asset di queste istituzioni.

C'è chi teme che una ristrutturazione del debito greco determinerebbe una crisi sistemica, come nel caso di Lehman Brothers, e un contagio ad altri paesi europei. Tuttavia, il forte aumento del costo del debito di Portogallo e Spagna di questi giorni mostra come i mercati hanno già preso in considerazione la possibilità di ulteriori difficoltà finanziarie in Europa. Un default parziale e immediato della Grecia non può modificare radicalmente in negativo queste aspettative. Al contrario, i mercati avrebbero un precedente in base al quale valutare con maggiore trasparenza il valore del debito degli altri paesi europei, e gli stati più virtuosi sarebbero premiati con un costo di finanziamento più basso.

In sostanza, accettare subito una ristrutturazione del debito, per esempio attraverso l'allungamento della maturità, anziché concedere nuovi crediti (come deciso dai pesi europei in questi giorni) aiuterebbe la Grecia a risolvere i suoi problemi, limiterebbe l'incertezza circa le garanzie implicite sui titoli pubblici emessi dai membri dell'eurozona e potrebbe dare maggiore credibilità al sistema monetario europeo. I creditori sarebbero indubbiamente puniti, ma, in questo modo, si avrebbe una riduzione del rischio morale e della possibilità che, fra qualche anno, ci si trovi di fronte alla necessità di salvare paesi con un debito molto maggiore di quello greco.

Queste valutazioni sono certamente controverse. L'impatto di una ristrutturazione sulle banche greche potrebbe essere grave e innescare una corsa agli sportelli. Eppure, piuttosto che continuare a prestare a fondo perduto, si dovrebbe riflettere sul modo in cui sia possibile affrontare il problema della ristrutturazione del debito con costi minimi per la stabilità del sistema finanziario. Se il crack di Lehman Brothers ha avuto effetti così catastrofici è anche per l'assenza di un meccanismo che potesse gestire in maniera ordinata il fallimento di una grande istituzione finanziaria con posizioni debitorie e creditorie ramificate in tutto il pianeta.
L'Fmi ha già affrontato il problema delle ristrutturazioni dei debiti sovrani con proposte concrete. L'Unione Europea dovrebbe fare altrettanto. I costi delle ristrutturazioni derivano dal fatto che i soggetti coinvolti sono molti, con interessi diversi, incapaci di confrontarsi direttamente tra loro. Si va dalle banche creditrici ai fondi comuni, alle istituzioni finanziarie internazionali, fino ai contribuenti. Alcuni soggetti direttamente coinvolti nei contratti, specialmente se hanno acquistato obbligazioni nei mesi immediatamente precedenti a una crisi e, quindi, a prezzi bassi, hanno interesse a prolungare le negoziazioni (anziché accettare un accordo rapido per un taglio del debito) perché sperano di essere rimborsati più di altri o perché sperano nel salvataggio dei governi a carico dei contribuenti. L'incertezza e l'attesa aumentano i rischi di controparte delle istituzioni finanziarie e ritardano la "ripartenza" del debitore. Basti pensare al caso dell'Argentina, che, dopo la dichiarazione d'insolvenza del 2001 è ancora in in trattativa per ristrutturare circa 18 miliardi di euro di debito in mano a molti piccoli obbligazionisti, in gran parte italiani. Per questa ragione, è dal 2001 che l'Argentina non ha la possibilità di prendere a prestito sui mercati internazionali.

I costi di una ristrutturazione del debito greco potrebbero essere contenuti se alla Bce (o ad altra istituzione sovranazionale) fosse assegnata l'autorità legale per gestire la fase di ristrutturazione ed, eventualmente, le risorse per garantire i depositi delle banche greche: proteggendo il paese insolvente dalle azioni legali dei creditori, imponendo termini e condizioni ai soggetti coinvolti e finanziando le nuove emissioni obbligazionarie in sostituzione di quelle esistenti.

 

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