Lo spettacolo non è stato bello. La responsabilità è del mondo politico ma il teatro – suo malgrado – è stato quello d'Intesa Sanpaolo. In un clima d'ingerenze e contrapposizioni fra tifoserie politiche, la prima banca italiana per presenza sul territorio ha dovuto difendere il ruolo degli organi di governo societario nelle nomine del consiglio di gestione. Non è certo normale. Perché, benché sia evidente che la scelta dei vertici di un colosso come Intesa Sanpaolo non sia solo un evento societario, è altrettanto vero che non si può dare l'impressione al mercato, ai soci di minoranza, ai dipendenti e ai milioni di clienti dell'istituto che la nomina del presidente del consiglio di gestione sia il frutto di una baruffa politica. Le regole di governo della banca prevedono che l'assemblea dei soci, fra cui le fondazioni, nomini il consiglio di sorveglianza. Questo organo elegge poi il comitato nomine e, su sua proposta, il consiglio di gestione. Sono regole, certo, si possono cambiare. Ma, fino a quando i soci di una banca remunerano degli amministratori perché nominino con indipendenza un consiglio di gestione, è opportuno che chi non ha una poltrona nel consiglio di sorveglianza sia almeno meno arrogante.

 

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