A Torino piove da una settimana e si prevede acqua fino a metà mese, poi il maltempo darà una tregua. Stesse previsioni in Intesa Sanpaolo, e negli uffici del suo principale azionista: comunque vadano le cose ai vertici della banca e della Compagnia, tempo una decina di giorni e dovrebbe tornare un po' di sereno. Ma chi conosce a fondo come funziona il clima subalpino sa che la vera tempesta arriverà l'anno prossimo, quando in città si correrà per la successione a Sergio Chiamparino, «perché è allora che la crisi emergerà in tutta la sua portata. Al di là dei nomi, qui si sta celebrando il funerale a un progetto di sviluppo per la città. Ma senza averne un altro in tasca». Così la pensa Valentino Castellani, sindaco di Torino dal 1993 al 2001 e poi presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi del 2006; da quando si è spento il braciere a cinque cerchi si è ritirato a vita privata, ma davanti allo scontro di tutti contro tutti degli ultimi giorni non riesce a tacere: «Quello che sta succedendo mi trasmette una profonda malinconia. Perché manca un nuovo progetto per la città e intanto non si esita a sparare a zero contro chi prima ha ispirato e poi si è fatto garante della grande trasformazione degli ultimi vent'anni, della metamorfosi che ci ha consentito di reggere l'urto del ridimensionamento della grande industria senza traumi».

Valentino Castellani non esita a fare nomi, e il primo è quello di Enrico Salza. E con lui, pensa al progetto che il banchiere, bersaglio delle ultime settimane, ha lanciato a inizio anni '90 con Alleanza per Torino, quell'intesa tra la sinistra riformista e la borghesia liberale che nel 1993 consentiva proprio al professore del Politecnico di insediarsi a Palazzo Civico, superando la Lega (allora partito di maggioranza relativa in Consiglio comunale), ma anche un ex di prestigio come Diego Novelli, sponsorizzato dalla sinistra. È allora che sotto la Mole prendeva forma un progetto che oltre a ispirare l'Ulivo avrebbe governato la città per 15 anni, una fase delicata scandita dalle crisi Fiat e da una pianificazione strategica che avrebbe assegnato alla politica e al modello basato sull'economia della conoscenza il compito di traghettare la città verso la sua primavera postfordista.

Un progetto forte, che ha guidato l'evolulzione della metropoli e retto fino a qualche settimana fa grazie a quella che Sergio Chiamparino ama chiamare «coalizione urbana». «Per anni Torino è stata la città dove la classe politica sapeva fare sistema al di là degli schieramenti e delle appartenenze – ricorda non a caso Marcello Sorgi, direttore de La Stampa proprio in quegli anni, dal 1998 al 2005 –, dove impresa e sindacato riuscivano a parlarsi, dove il confronto era la regola. La coesione istituzionale è stato uno dei grandi valori che hanno consentito alla città di raggiungere traguardi importanti, penso ad esempio al vertice italo-francese del 2001, o alle Olimpiadi del 2006. Ora tutto questo mi sembra finito».

Il prossimo traguardo in agenda è la celebrazione del Centocinquantenario dell'Unità d'Italia, e «forse non è un caso che si tratti di una ricorrenza che celebra il passato e non più il futuro», come sottolinea Guido Bodrato. Dopo una vita da uomo forte della Democrazia Cristiana, da sei anni ha abbandonato la politica attiva ma non si è distratto. Anzi: «Torino ha perso questa battaglia perché, a differenza di Milano, si è trovata improvvisamente priva di una solida classe dirigente forte di una strategia condivisa». Parole, e concetti, che ritornano: «Nel giro di pochi anni siamo passati da un equilibrio dinamico a uno statico, che ormai vede la classe dirigente impegnata solo a reggersi in piedi, vicendevolmente. Ma una città non può vivere di se stessa, delle sue sole energie, dei suoi poteri forti: ci vorrebbe una strategia improntata all'apertura internazionale, allo sviluppo, alla produzione di ricchezza, alla collaborazione con tutti i territorio che compongono il Piemonte, tutti valori che hanno sempre fatto parte del dna di questo territorio».

 

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