È in atto l'ennesimo capitolo della «congiura» dei magistrati contro il governo Berlusconi? Il presidente del Consiglio lascia intendere che è così, il presidente della Camera lo nega. Due tesi opposte.
All'indomani delle dimissioni di Scajola, non è questione di poco conto, dato che riguarda lo stato psicologico della maggioranza e l'immediato futuro della legislatura. Ma non è problema che tocchi in modo diretto il caso di Denis Verdini, il coordinatore del Pdl indagato dalla procura di Roma. Si tratta di una vicenda diversa da quella che ha travolto Scajola, anche perché Verdini non fa parte della squadra di governo. E lo stesso Fini ha ricordato quanti avvisi di garanzia, in passato, sono finiti nel nulla. Per cui non c'è ragione di chiedere le dimissioni del coordinatore.

Il problema è al tempo stesso più generale e più insidioso. Più generale perché, rispolverando il tema della «congiura», Berlusconi mostra una certa sindrome di accerchiamento. Teme collusioni fra settori della magistratura e ambienti politici, non solo d'opposizione. Lo inquieta lo stillicidio delle inchieste destinato a scandire i prossimi mesi. D'altra parte, se si evoca la «congiura» vuol dire che ci si prepara a una nuova fase di conflitto in Parlamento e fuori. Accade quando il presidente del Consiglio stabilisce un nesso tra il caso Scajola e la discussa legge sulle intercettazioni.

Se davvero egli ha detto quello che gli si attribuisce («avete visto cosa è successo? Da oggi dobbiamo andare avanti ancora più determinati»), risulta chiaro che l'argomento della congiura serve per misurare la coesione, anzi lo spirito di corpo della maggioranza. Ciò che aiuta non tanto a governare per tre anni (una prospettiva per la quale sarebbe utile semmai un clima più disteso), quanto a preparare eventuali elezioni. A crearne il clima propizio, si potrebbe dire.
In passato, quando Berlusconi evocava i complotti, il Pdl e persino la Lega si allineavano in un attimo dietro il loro leader. Adesso è un po' diverso, a conferma che la scia dell'affare Scajola è piena d'insidie. Ed è il secondo aspetto del problema. Nel momento in cui Fini dichiara che «non esiste una congiura della magistratura», il colpo è rivolto direttamente al premier. O meglio, alla filosofia quasi ventennale cui quest'ultimo ha ispirato il suo lungo scontro con procure e tribunali.

In una singola frase Fini descrive un altro Pdl. Pronto a stipulare un armistizio con i magistrati. Ben deciso a trasformare il tema della legalità – a partire dal ddl anti-corruzione – in una priorità del centrodestra. Si dirà che non è cosa nuova. E si può aggiungere che il progetto del presidente della Camera è velleitario, visto che la pattuglia dei suoi fedeli è piuttosto esigua.
Ma la vicenda è più complessa. In primo luogo, stavolta anche Bossi è alquanto cauto. Si preoccupa di fare da mediatore nella maggioranza («non ci sono spaccature») e vuole che il governo «vada avanti». Ma si guarda bene dal condividere l'idea della congiura e quindi l'ipotesi dello scontro frontale con il mondo della giustizia. In secondo luogo, è la prima volta che una tesi del leader viene contestata in modo plateale. Se in futuro Berlusconi sarà tenuto sotto scacco delle iniziative giudiziarie a carico di altre figure di primo piano del governo, ecco che le posizioni di Fini acquisterebbero rilevanza. Magari nell'opinione pubblica più che nel partito. Ma certo accrescerebbero l'incertezza del premier.

 

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