È difficile per le democrazie ricorrere a mezzi estremi e rapidi in una crisi. L'opinione pubblica rilutta davanti a medicine amare, preferisce placebo e acqua zuccherina. Se l'inerzia affliggerà l'Europa in questa lunga domenica di passione, 9 maggio san Beato, gli effetti saranno storici e tutti negativi. La Grecia resterà nella tempesta con la scialuppa in avaria del piano di aiuti Ue e Fmi. Gli altri paesi in apnea, Spagna in testa, vedranno allontanarsi il sollievo. I mercati, turbati per l'incapacità di Bruxelles, volteranno le spalle alla già gloriosa Unione, alla sua valuta così boriosa pochi mesi fa, gli speculatori sguazzeranno nel naufragio azzannando dove possono, come squali. Il presidente Obama teme un nuovo stop globale, forse la recessione.

Che domani sia un giorno nefasto non è però scontato e le febbrili riunioni che si tengono mentre leggete, d'urgenza la Commissione Ue poi l'Ecofin, potrebbero, se non invertire, almeno correggere la deriva. È sulla Banca centrale europea che gli occhi si appunteranno. Il presidente Trichet ha certo sbagliato a negare di aver discusso con i suoi uomini di crisi greca – se ne discute in ogni tinello europeo e non alla Bce? – e certo l'ha fatto sperando di calmare malumori finanziari che ha invece aizzato.

Domani potrebbe guidare un massiccio intervento e stendere "uno scudo assicurativo", magari comprando titoli di stato dei paesi alle corde, opzione non amata in Bce.

La sfiducia nell'euro e nell'Unione europea non è conseguenza della crisi greca o della crisi finanziaria. Ne è, semmai, concausa nel vecchio continente. L'opinione pubblica smette di aderire al valore politico dell'Unione con il fallimento della Costituzione. L'allargamento all'Est frettoloso e mal spiegato, l'avversione alla Turchia regalata alla propaganda fondamentalista hanno fatto il resto. In coda lo snobismo antiamericano, rampante sotto Bush ma perpetuato anche con il democratico Obama, dopo la crisi di Wall Street. Obama crede tanto poco alla bandiera blu con stelle d'oro che si limita a chiamare la Merkel per discutere di Grecia, mica van Rompuy e neppure Barroso. Per la Casa Bianca siamo tutti tedeschi o comunque i tedeschi decidono per tutti noi: è questo il futuro che ci immaginavamo nell'Europa e nell'euro che tanti vantaggi hanno dato anche alla Germania (addio svalutazioni a go go per far concorrenza nell'export)?

Quanti paroloni sui valori del mercato europeo, sul capitalismo dal volto umano, sulla solidarietà, sul codice renano, formiche laboriose gli europei, cicale dissipate gli americani e quanto in fretta s'è dissolta questa fola. Oggi Renania non è più codice di un mercato capace di evitare gli eccessi yankee, ma simbolo di una Germania che ha fatto attendere aiuti alla Grecia e all'euro per una provinciale elezione in qualche borgo tra Renania e Westfalia. La storia può attendere, le clientele democristiane no.

La signora Merkel non è stata all'altezza del suo mentore, il cancelliere Kohl. È vero che la stampa popolare di Berlino ha usato i greci come i turchi al tempo della campagne xenofobe, ma un leader deve guidare, non seguire i sondaggi. Ora l'idea di un tedesco suo emissario alla Bce, al posto di Trichet, spaventa, non serve un don Abbondio, meglio l'indipendenza di Mario Draghi, che sa tenere aperto con il Financial Stability Board il dialogo atlantico delle regole.

Nessun uomo di stato europeo ha brillato. Il premier spagnolo Zapatero – già idolo degli ingenui di casa nostra – vede quanto sia difficile guadagnare consensi davanti alla débâcle di Madrid: non basta più prendersela col catechismo cattolico, ora occorrono fermezza e strategia e non si vedono. Il presidente francese Sarkozy non riesce mai a mettere la sua sbalorditiva energia a frutto. La Grecia saltava? Lui si occupava di Cina. Adesso spalleggia il ministro Tremonti «quando la casa del vicino brucia non si può stare a guardare», defilandosi dal valzer con la Germania, ma quanto, troppo!, tempo perduto. La Gran Bretagna, fuori dall'euro, con il conservatore Cameron che in Europa si butta nel gruppo degli scettici scombiccherati, deve cercarsi ancora un premier, Londra e Bruxelles son più lontane che sotto la nube di cenere.

Il ruolo italiano è stato svolto da Tremonti, che ha detto di no al collega tedesco Schauble, e poi ha chiesto e offerto aiuti. Dopo Trichet, Barroso e De Benedetti anche il fondatore di Repubblica Scalfari - con onestà intellettuale - ha voluto riconoscere al ministro il polso. Ora però il difficile mestiere del dire "no" non basterà più, l'Italia deve crescere, e deve saper crescere in questa crisi di sistema, valori e tradizioni. «Come» non sarà facile dirlo, certo egoismi, corruzione, polemiche non servono, servono progetti razionali, realistici e condivisi. Dal governo Berlusconi deve venire un tono nuovo, fin qui mai ascoltato, responsabile e consapevole del momento aspro: dialogare con l'opposizione, soprattutto se Bersani imporrà alle sue riluttanti fila rigore riformista. La campagna elettorale perpetua a chi serve in questo incendio? Che importano i testi del programma di Serena Dandini mentre l'Europa brucia e il sottosegretario Gianni Letta alza - per una volta - i toni parlando di «drammatica» giornata?

Entriamo in questa domenica 9 maggio in un mondo nuovo e sconosciuto. Un mondo dove Wall Street riduce in polvere quasi mille punti e miliardi di dollari non per un "errore", un "dito grasso" che manda ordini assurdi di vendita: ma perché nessuno controlla davvero i computer in azione finanziaria e quando Securities and Exchange Commission e Commodity Future Trading Commission cercano di capire cosa è successo non ci riescono. Gli economisti, vedi il nostro Roberto Perotti ma anche Paul Krugman dal suo blog in esclusiva per il Sole, calcolano che sfuggire al default sarà, per Atene, difficilissimo. I leader politici e la Bce con quel che faranno – o non faranno – domani e lunedì devono a tutti i costi cambiare l'equazione. Ma quanto tempo, danaro, speranze, energie e credito perduti povera vecchia Europa, quando straparlavi di "orgoglio" nel respingere il Fondo monetario internazionale, quando ti baloccavi con il miraggio di un Fondo europeo, quando aspettavi i destini renani e la storia del futuro, il 9 di maggio, impetuosa ti si avventava addosso. Lo stallo dell'euro libererebbe ovunque lo spettro del populismo. Non è stagione per chi non ha coraggio.

gianni.riotta@ilsole24ore.com

twitter@riotta

 

Shopping24