BRUXELLES - Si annuncia tutt'altro che facile la riunione dei 27 ministri finanziari dell'Ecofin che si ritroveranno oggi pomeriggio a Bruxelles con il compito primario di lanciare ai mercati un messaggio di unità, solidarietà ed efficienza dell'area euro. In gioco c'è la tenuta stessa della moneta unica, messa negli ultimi giorni alla prova dagli assalti della speculazione. E c'è l'urgenza di varare una risposta solida e convincente che ne scoraggi l'attivismo. Al punto che, parallelamente, ieri sera Jean-Claude Trichet ha riunito in conference call il board della Bce per consentirle a sua volta di prendere le decisioni del caso.

A convocare l'ennesimo Ecofin straordinario, cui parteciperà anche il presidente della Bce, sono stati i 16 capi di governo dell'Eurogruppo al termine del lungo e drammatico vertice conclusosi venerdì a notte inoltrata. Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy, a sottolineare la gravità della crisi, hanno deciso ieri di non andare a Mosca per le celebrazione della vittoria alleata del 1945. Il presidente americano Barack Obama si è detto «molto preoccupato per ciò che sta accadendo in Europa», auspicando una stabilizzazione della situazione che gioverebbe anche agli Stati Uniti.

Sul tavolo dei ministri ci sarà la proposta della Commissione Ue per dar vita a un meccanismo europeo permanente anti-crisi e salva-stati, da far scattare qualora, dopo la Grecia, altri paesi si trovassero in difficoltà. Per tutta la giornata di ieri i tecnici di Bruxelles ci hanno lavorato sopra. Sui contenuti precisi si mantiene il riserbo. Secondo indiscrezioni, da verificare, si partirebbe con un fondo di pronto intervento finanziato raschiando tra le riserve e i fondi inutilizzati del bilancio comunitario.

In questo modo sembra che si possano reperire circa 10 miliardi, che verrebbero poi utilizzati dalla Commissione per raccoglierne, si calcola, circa 70 sui mercati. La somma sarà impiegata come prima forma di assistenza ai paesi in difficoltà. In caso di necessità sarebbe previsto, accanto al nuovo strumento Ue, l'intervento di garanzie e prestiti da parte degli stati membri, con un'operazione che però, a differenza di quella greca, da prettamente intergovernativa dovrebbe diventare comunitaria.

Il vero pompiere, decisivo, sarebbe comunque la Bce che, decidendo in piena autonomia dai governi (come quasi certamente ha già fatto ieri sera in conference call), già domani interverrà per calmierare i mercati. E lo farà, salvo sorprese, senza escludere la possibilità di acquistare i titoli pubblici dei paesi sotto attacco, magari imponendo in cambio una tabella di marcia per accelerare il rispettivo processo di consolidamento delle finanze pubbliche, come del resto già concordato al vertice di venerdì.

«In questo modo apriremo un grande ombrello di salvataggio sopra l'intera zona euro» ha affermato ieri Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, giustificando l'iniziativa con «l'operazione globale in corso per tentare di scardinare l'euro dalla sue fondamenta». La base giuridica per istituire il fondo anti-crisi è l'articolo 122 del Trattato che consente il salvataggio dei paesi dell'euro, normalmente vietato, in «circostanze eccezionali».

Se al vertice l'accordo dei 16 capi di governo è stato unanime, non è detto che la sua approvazione oggi a 27 sia tutta in discesa. Al contrario. Perché la creazione del nuovo fondo europeo richiede, in sostanza, ai paesi fuori dall'euro di essere solidali con quelli che sono dentro. E non è detto che la cosa si dimostri automatica per almeno due ragioni: molti di essi sono candidati a entrarci e di sicuro vedono di malocchio le condizioni collegate alla sua istituzione e cioè il contestuale inasprimento delle regole del patto di stabilità, la crescente sorveglianza e invadenza sulle politiche di bilancio nazionali nonchè su squilibri strutturali e di competitività. Non si cambiano le regole in corsa, sottolineano.
Sembra che a pronunciarsi contro sarà la Polonia di Donald Tusk che, tra l'altro, ha scelto il vertice di Bruxelles sul salvataggio dell'euro per annunciare il ritiro della sua candidatura a entrare nella moneta unica.

 

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