Leonardo Maisano
LONDRA. Dal nostro corrispondente
Il dodicesimo primo ministro del Regno di Elisabetta II s'è insediato a Downing Street. È David Cameron, 43 anni, conservatore, il più giovane premier dal 1812 quando di quell'incarico fu insignito Lord Liverpool. Altri secoli, altre dinamiche. Quelle di ieri sono state una volta di più vissute al cardiopalmo con l'improvviso avvitarsi di una crisi che sembrava destinata a durare molto più lungo.
A far precipitare le cose è stato l'uomo che più di tutti sembrava destinato a volerle trascinare, deciso a restare aggrappato all'incarico di premier con le unghie e con i denti. Gordon Brown lo ha fatto ieri sera quando la sua Jaguar di servizio ha varcato i cancelli di Buckingham Palace. Accompagnato dalla moglie Sarah si è incamminato, per l'ultima volta, lungo le scale del più celebre palazzo di Londra per incontrare la regina alla quale ha rimesso il mandato. Pochi istanti dopo ha salito quelle stesse scale, per la prima volta, David Cameron chiamato a formare il governo a conclusione di una procedura di grande semplicità e straordinaria efficacia. Il neopremier si è poi recato a Downing Street per comunicare la vera svolta della politica inglese: un governo di coalizione.
«Ho accolto il mandato che mi ha conferito sua maestà - ha detto Cameron - e nel farlo voglio rendere omaggio al governo uscente e alla straordinaria dedizione di Gordon Brown... Le elezioni ci hanno consegnato un parlamento senza maggioranza assoluta e per far fronte alle urgenze della congiuntura interna e internazionale intendo varare una formale coalizione con il partito liberaldemocratico...».
Non ci sono precedenti nella storia moderna britannica anche perché in serata è giunta l'ufficializzzaione che il leader LibDem, Nick Clegg sarò il vicepremier, quasi sicuramente affiancato da altri ministri di primo piano. Il cancelliere dello scacchiere, ministro delle Finanze, sarà invece il conservatore George Osborne, 38 anni. I LibDem si sono già impegnati a non proporre l'adesione della sterlina all'euro. Solo nel corso della giornata di oggi il quadro sarà definito così come sarà del tutto chiarito l'umore della base parlamentare ed elettorale di due partiti che hanno guardato con reciproco scetticismo a questa conclusione.
Ma ieri non è stato solo il giorno della vittoria di Cameron e della consacrazione di Clegg, abile nel gestire la sua mano negoziale aprendosi anche alle intese con i laburisti poi collassate, è stato anche il giorno dell'addio di un uomo politico che ha segnato la storia recente britannica. Gordon Brown ha posto fine a molto più di un semplice mandato di premier. Quello di ieri è stato, certo, l'atto finale della sua breve stagione da capo dell'esecutivo, meno di tre anni, ma anche di tredici nel segno del New Labour, quell'architettura ideologico-culturale che Tony Blair rese fenomeno globale.
Brown ha lasciato tutto, eccetto il suo incarico di deputato. «È stato un onore servire questo paese - ha detto nell'annunciare il suo addio da Downing Street - ma oggi rimetto anche il mio incarico di responsabile del partito laburista». Un bacio alla moglie Sarah, un abbraccio ai due figli, poi è andato al palazzo reale e da lì al quartier generale del Labour dove ha salutato i collaboratori con poche parole di piena assunzione di responsabilità. «Se abbiamo perso le elezioni - ha detto - è colpa mia, esclusivamente mia». La voce era tesa, come ai microfoni di Downing Street quando per un istante si è avuta la sensazione che l'emozione potesse avere il sopravvento.
Istanti in cui la maschera tragica di un uomo politico mai amato dall'opinione pubblica aveva preso il posto di quella proterva, arrogante, aggressiva andata in scena nel corso del suo mandato. Diversa era stata la sua immagine da cancelliere dello scacchiere. A comprometterne la popolarità era stato il lungo braccio di ferro con Tony Blair per la successione al partito e al governo. Un confronto dal quale non si è mai riavuto, trascorrendo i pochi anni da capo del governo in costante rincorsa dei conservatori, sempre favoriti nei sondaggi rispetto al suo Labour.
Harriet Harman, la sua vice, è stata nominata leader ad interim in attesa che i giovani turchi del partito si battano per conquistare lo scettro del comando. Li guiderà il popolarissimo David Miliband, ministro degli Esteri uscente, ma contro di lui si schiereranno molti aspiranti, espressione delle diverse anime del Labour a cominciare da Ed Balls ministro della Scuola e più stretto alleato di Brown. Chiacchiere per un futuro già cominciato, ieri, sotto il segno di David Cameron (già invitato da Barack Obama a Washington in nome delle "special relationship" anglo-americane) ma anche di Nick Clegg.
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ONORE AI VINTI

Il «gigante» Gordon Brown
Per il Financial Times Gordon Brown è stato «un gigante» seppure «imperfetto». Tre i meriti del premier laburista uscente. Ha rispettato l'indipendenza della Bank of England e difeso la sterlina dalla tentazioni di entrare nell'euro: decisione ancora più corretta alla luce della crisi greca. Ha giocato un ruolo cruciale nella resurrezione del sistema sanitario nazionale. Ultimo e più importante, il comportamento tenuto durante la crisi finanziaria del 2008: il suo piano di ricapitalizzazione delle banche con massicce iniezioni di liquidità è stato d'esempio agli Usa e agli altri paesi europei

 

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