Esisterà ancora l'euro tra qualche anno? Gli eventi economici degli ultimi due anni sono stati così sconvolgenti da far scomparire qualunque certezza. Il disorientamento è giustificato dalla gravità dei problemi reali, ma è anche ampliato dalla reazione dei mercati finanziari.
Per ragionare lucidamente sul futuro, è importante distinguere tra la realtà economica e politica (le cosiddette "variabili fondamentali"), e i problemi indotti dalla reazione e dall'interconnessione dei mercati finanziari (la "speculazione").

Nel caso della Grecia, non c'è dubbio che la situazione della finanza pubblica sia insostenibile. La reazione dei mercati ha semplicemente anticipato un problema che era comunque destinato a scoppiare. Con un disavanzo fiscale che nel 2009 era vicino al 14% e un debito pubblico oltre il 115% del Pil, numerosi anni di crescita negativa davanti a sé, una grave mancanza di affidabilità nelle statistiche ufficiali, evasione fiscale e corruzione diffuse, una situazione politica precaria, la Grecia era e rimane un paese sull'orlo dell'insolvenza. Il pacchetto di aiuti europei ha comprato del tempo e creato una finestra di opportunità per cercare di risolvere i problemi. Ma la sfida è immane e non è detto che si riesca a vincerla. Una ristrutturazione del debito greco nel giro di qualche anno rimane un evento probabile.

La situazione è ben diversa in Portogallo e Spagna. Sebbene entrambi i paesi abbiano un disavanzo fiscale elevato (intorno al 9% e 11% del Pil nel 2009, rispettivamente), il loro debito pubblico è molto più contenuto (circa il 73% del Pil in Portogallo, il 53% in Spagna), e la credibilità delle istituzioni e della politica non è compromessa.
Certo, se i mercati smettono di comprare il debito di questi paesi e non vi sono aiuti esterni, l'insolvenza è inevitabile. Ma è un caso ben diverso dalla Grecia: qui il contagio dei mercati finanziari non si limita ad anticipare un evento futuro, ma fa precipitare una situazione che con il tempo sarebbe rientrata.

Bene hanno fatto dunque i governi e la Banca centrale europea a fermare il contagio. I provvedimenti adottati nel weekend sono una svolta importante, non soltanto per la dimensione, ma anche per il loro significato politico. Non è vuota retorica europeistica. Se i fondamentali economici non sono compromessi, i governi e le banche centrali hanno tutti gli strumenti per contrastare il contagio finanziario e ridare liquidità là dove ce n'è bisogno.
Usare questi strumenti senza esitazione, come è stato fatto, ricorda ai mercati che esistono anche i "fondamentali politici", non solo quelli economici. La moneta unica è troppo importante dal punto di vista politico perché la sua sopravvivenza possa essere lasciata in balia dei sentimenti e delle scommesse di chi opera sui mercati.

Vi è chi sostiene che le differenze tra la Grecia e gli altri paesi del Sud Europa siano in realtà più sfumate di quanto qui affermato, e che il contagio sia giustificato anche dai fondamentali economici.

La ragione, si dice, è che il settore privato di Spagna e Portogallo è fortemente indebitato, entrambi i paesi hanno perso competitività e accumulato grandi disavanzi con l'estero. Prima o poi i debiti privati saranno trasferiti sul settore pubblico, perché il settore privato non riuscirà a farvi fronte, e a quel punto saremo daccapo con una finanza pubblica insostenibile.
Questa visione è troppo semplicistica. Innanzitutto, non è affatto detto che il debito privato sarà trasformato in debito pubblico. Un debitore privato che non riesce a onorare i suoi impegni può fallire senza scatenare crisi sistemiche. Se questo accade oppure no dipende da chi è il creditore, e da dove risiede.

In secondo luogo, all'interno di un'unione monetaria il debito estero può essere ripagato anche su periodi molto lunghi, il che ne accresce la sostenibilità. Terzo, il debito di Spagna e Portogallo non è servito solo ad alimentare una bolla immobiliare. Una parte rilevante è anche stata investita in attività produttive: secondo l'Ocse la formazione di capitale industriale in questi due paesi tra il 2000 e il 2007 è stata pari al 7-8% del Pil, allineata con la media Ocse. Quarto, almeno in Spagna, il disavanzo con l'estero sta già rientrando e per il 2010 è previsto intorno al 4% del Pil, contro il 10% della Grecia.

Infine, è bene non attribuire importanza eccessiva all'apprezzamento del cambio reale in seguito alla maggiore inflazione del Sud Europa rispetto alla media euro; sia perché la competitività non dipende solo dal prezzo, sia perché un'inflazione più alta nei servizi e nei beni non scambiati sui mercati internazionali si accompagna spesso alla convergenza economica dei paesi poveri verso i ricchi, senza per questo essere il sintomo di una situazione insostenibile.
Detto questo, siamo ancora in mezzo al guado. La più grande crisi economica e finanziaria del dopoguerra non è ancora finita. Per uscirne indenne, il Sud Europa dovrà adottare subito energiche misure di bilancio e riformare l'economia per riacquistare competitività. La Spagna ha già annunciato i primi provvedimenti e il Portogallo lo farà nei prossimi giorni. In ogni caso questi paesi avranno molti anni di crescita debole.

E l'Italia? Sebbene il settore privato sia poco indebitato, e il disavanzo pubblico sia contenuto, non dobbiamo illuderci. Non soltanto per via delle nostre note fragilità. Ma anche perché il riemergere dell'incertezza e dell'avversione al rischio sui mercati finanziari avrà un impatto negativo su tutta l'economia europea.
Come il fallimento di Lehman aveva indotto un calo generalizzato della fiducia, così è possibile che anche in queste circostanze imprese e famiglie rinviino i loro programmi di spesa e di investimento, con il rischio di alimentare una spirale avversa che abbiamo già visto all'opera. Anche in Italia, il momento delle riforme per rilanciare l'economia non può più essere rinviato.

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