LONDRA. Dal nostro corrispondente
«Con la nostra elezione il rapporto fra la Gran Bretagna e l'Unione europea è cambiato». Così, secondo un memo attribuito nei giorni scorsi dall'Observer a William Jefferson Hague, 49 anni, da ieri ministro degli Esteri del nuovo governo britannico, David Cameron avrebbe dovuto affrontare i partner di Bruxelles.
Un incipit che pare un attacco frontale, prologo per una decisa presa di distanze dalle politiche dell'Unione. Parole che Hague non ha mai rivendicato e che i Tory dichiaravano, nelle ore concitate della trattativa post elettorale, di non aver mai letto né sentito. Una fuga in avanti di un monocolore Tory? È possibile, anzi probabile. Eppure a due giorni dalla nascita della grande coalizione fra liberali e conservatori l'Europa resta il capitolo meno convincente della convivenza fra i due partiti al governo nel Regno. E il tessitore della trama comunitaria sarà Hague, ovvero colui che, secondo quel memo senza padre, avrebbe suggerito al premier di spingere subito sull'acceleratore del dissenso.
Tracce per nulla edulcorate di tanto euroscetticismo si scorgono nel documento alla base delle intese. «Siamo d'accordo che non dovrà esserci ulteriore trasferimento di sovranità a Bruxelles...Lavoreremo per limitare l'applicazione della direttiva sull'orario di lavoro...Ogni futuro trattato europeo sarà sottoposto a referendum...Difenderemo l'interesse nazionale in vista del prossimo budget europeo». E, infine, Londra si batterà per una sola sede, a Bruxelles, del Parlamento europeo. Naturalmente di euro nemmeno parlarne. Eppure il gran manovratore William Hague, uscito da Oxford e plasmato all'Insead, supremo responsabile della politica estera targata Tory, ieri non si stancava di ripetere che la Gran Bretagna avrà «un ruolo attivo» nella vita della Ue. Unica nota positiva, in questo contesto, è la mancanza di un cenno alla rinazionalizzazione di politiche che i conservatori avevano promesso di riportare a Londra.
La missione del neoministro degli Esteri, scolpita nelle intese che non si capisce come l'eurofilo Nick Clegg abbia sottoscritto, in realtà viene da lontano. Nel 2001 quando era leader del partito fece del no all'euro un cavallo di battaglia ma scivolò, dolorosamente, sull'immigrazione con uscite che suonarono xenofobe e spinsero un "senatore" dei Tory come Michael Heseltine a prenderne le distanze. La sua gestione del partito non fu considerata un successo, nonostante un esordio al fulmicotone. Aveva 16 anni e viveva ancora nello Yorkshire quando invitato a un congresso conservatore strabiliò Margaret Thatcher cominciando così: «La metà di voi non sarà qui fra trent'anni...saremo noi (giovani ndr) a dover fare i conti con le conseguenze del socialismo», allora imperante da Mosca fino alle frange più radicali della leadership laburista.
Coraggio e determinazione, e un profondo sospetto per ogni tentativo di continentalizzazione delle isole britanniche. Hague è anche questo e forse proprio per questo Cameron lo ha scelto, gran tutore dell'anima più antieuropeista che pervade i Tory. È stato lui, su mandato del suo leader, a gestire l'uscita dei conservatori dal Ppe a Strasburgo. Una mossa che gli contestano amici e nemici. Anche i LibDem. Prima, almeno, della grande coalizione.
L.Mais.
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LA SCHEDA

Chi è
William Hague, 59 anni, è stato leader dei Tory tra il 1997 e il 2001, quando si dimise dopo il successo elettorale del Labour. Parlamentare dal 1989, anti-europeista per eccellenza, è molto amato dalla base del partito; è stato ministro degli Esteri del governo ombra conservatore fino al voto del 6 maggio
Gli altri ministri
Accanto al premier David Cameron, affiancato dal vicepremier Nick Clegg, ecco gli altri componenti dell'esecutivo:
Difesa: Liam Fox
Giustizia: Ken Clarke
Sanità: Andrew Lansley
Interni: Theresa May (avrà anche il sottosegretariato delle Pari opportunità)
Lavoro e pensioni: George Iain Duncan Smith
Istruzione: Michael Gove
Affari scozzesi: Danny Alexander
Energia e cambiamento climatico: Chris Huhne
Cultura, Giochi olimpici, media e sport: Jeremy Hunt

 

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