Come molti economisti, anch'io credo nel ruolo positivo della speculazione in mercati concorrenziali e trasparenti (la qualificazione è importante) per i motivi che ha ben spiegato Luigi Zingales su queste pagine il 22 aprile. Mi rendo conto però come per molti sia difficile accettare questa posizione della "scienza triste"; e basta passare un po' di tempo su internet per cogliere la violenza del sentimento "anti-speculazione" di migliaia di commentatori e semplici blogger. Credo quindi sia utile fare un passo indietro e formulare due domande "a monte". È plausibile che la speculazione sia alla base delle recenti disavventure europee, come molti sostengono? Ed è così facile tracciare i confini della liceità morale della speculazione?

A ogni nuovo episodio del dramma greco e a ogni passo indietro dell'euro, migliaia di politici, commentatori e persino banchieri in tutta Europa non hanno dubbi: è opera della speculazione. Ma da dove viene questa sicurezza? Non esistono dati che permettano di distinguere le vendite di titoli greci dei ribassisti dalle vendite "legittime" di banche, fondi e semplici cittadini che ribilanciano il proprio portafoglio.

Gli unici dati esistenti, che io sappia, gettano molti dubbi sull'idea prevalente della speculazione. Dal novembre 2008 la Depository Trust and Clearing Corporation (Dtcc) raccoglie dati sui credit default swap (Cds) sui titoli greci. I Cds sono usati dai ribassisti (e ne sono probabilmente divenuti lo strumento principale) perché essi sono essenzialmente un contratto d'assicurazione contro l'evento di default; dunque il loro valore aumenta se il default si avvera.

I dati della Dtcc forniscono tre indicazioni. Primo, il valore nozionale netto totale dei contratti (cioè il massimo pagamento netto agli acquirenti di Cds, in caso di default al 100%) era il 7 maggio di 7,7 miliardi di dollari, cioè solo il 2% del debito greco totale. Secondo, questo valore è lo stesso di un mese fa e di un anno fa. Terzo, come ha ricordato Darrel Duffie di Stanford University in un'audizione al Congresso Usa, non sembra esserci alcuna relazione fra i (piccoli) movimenti settimanali dei Cds sulla Grecia e i tassi d'interesse greci.

Veniamo alla seconda domanda, la moralità della speculazione. Il problema principale è che il confine con i nostri comportamenti di tutti i giorni è molto labile. Si dice spesso che gli speculatori «approfittano delle difficoltà altrui». Ma quando c'è un premio al rischio, c'è sempre un emittente «in difficoltà». Prima del default nel 2001, gli acquirenti di bond argentini approfittavano di un paese in difficoltà, oppure facevano un'opera buona prestando a un paese in difficoltà? E che dire delle banche italiane, di cui alcuni esponenti oggi spesso si ergono a guide morali del mercato: esse si approfittavano delle difficoltà altrui due volte, prima comprando i bond argentini e poi rivendendoli a tanti cittadini ignari.

Si dice anche che i ribassisti «causano la caduta del mercato». Se ho in portafoglio un titolo che è aumentato molto, e lo vendo perché sono convinto che possa solo scendere, sono un buon padre di famiglia che assume un atteggiamento prudente. Se invece non possiedo il titolo ma ho la stessa aspettativa, posso prenderlo a prestito e rivenderlo per ricomprarlo in seguito a un prezzo più basso, e allora sono uno speculatore. Ma l'effetto sul prezzo del titolo è lo stesso; in entrambi i casi, contribuisco nel mio piccolo alla caduta del mercato. E in entrambi i casi cerco di fare quello che vorrebbero fare tutti, speculatori o no: comprare quando il prezzo è basso e vendere quando è alto.

Si dice infine che gli speculatori «scommettono sulle disgrazie altrui». Il prezzo del petrolio è forse la determinante principale del Pil di paesi produttori come Russia e Nigeria, e quindi del benessere dei loro cittadini. Quando il prezzo del petrolio sale tutti in Europa accusano gli speculatori al rialzo; ma quando gli speculatori al ribasso fanno scendere il prezzo, nessuno se ne lamenta, e nessuno fa notare il danno inflitto a centinaia di milioni d'individui ben più poveri di noi, come il cittadino medio di Russia e Nigeria.

Per prendere un esempio meno drammatico, la caduta dell'euro è invariabilmente attribuita all'attività, e persino a una cospirazione, degli speculatori, in alcuni casi addirittura per insidiare la democrazia europea. Ma speculare al ribasso contro l'euro è equivalente a speculare al rialzo sul dollaro; quando l'euro saliva, non ricordo che qualcuno in Europa abbia attaccato gli speculatori che cospiravano per distruggere il dollaro e gli Usa.

Ma che etica è mai questa, in cui l'accettabilità morale della speculazione dipende dall'asset su cui si specula, dalla direzione delle scommesse, e dalla cittadinanza di chi ci perde?

roberto.perotti@unibocconi.it

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