C'è un'economia che non conosce crisi, ed è quella delle società pubbliche. Rovesci dei mercati e norme sempre più restrittive, almeno nella lettera, non hanno frenato l'impegno "capitalista" (si fa per dire) di Pa ed enti locali, che anche nel 2009 ha continuato a intensificarsi. A fine anno l'elenco degli enti partoriti dalle pubbliche amministrazioni si è allungato ancora rispetto a dodici mesi prima: 7.106 contro i 6.752 registrati nel 2008. Merito soprattutto di una parolina magica, la «proroga», che arriva sempre puntuale a sterilizzare gli effetti di norme nate nel segno del rigore.
L'aumento di società e consorzi è nell'ordine del 5%, e trascina con sé quello degli amministratori, saliti della stessa misura e volati a sfiorare quota 25mila.
Un esercito di presidenti e consiglieri di società e consorzi che sempre più spesso si occupano di gestione dei servizi idrici, di raccolta dei rifiuti, di produzione e distribuzione di energia e gas, per rimanere agli ambiti di attività più appetibili e con maggiori ramificazioni. Ma ci sono anche le aziende di trasporto, quelle di consulenza e formazione, chi gestisce le case vacanza, le incursioni nell'informatica e nelle telecomunicazioni. Una lista di attività poliedricche, che spesso servono a trovare una poltrona agli estromessi dal giro della politica o a chi nella politica c'è rimasto e non disdegna i doppi e tripli incarichi.
A mettere in fila la lunga sfilza delle utilities è la banca dati della Pubblica amministrazione (www.consoc.it), che ogni 30 aprile riceve i dati da comuni, province, regioni, oltre che dalle amministrazioni centrali. Quelli riferiti al 2009 – elaborati per la prima volta sui bilanci a consuntivo e che verranno presentati oggi nel corso di Forum Pa – fotografano, oltre alla crescita, il consueto affollamento nei consigli di amministrazione.
Ci sono consorzi e società che servono più ambiti territoriali e mettono insieme centinaia di soci. Con relative prebende.
Una giungla difficile da penetrare. L'obiettivo era di mettere in controluce questo fitto intreccio, ma per ora non ci si è riusciti. La banca dati è sì funzionante, ma non è ancora aperta al controllo dei cittadini. Questo era un traguardo che il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, si era dato l'anno scorso, ma che per il momento è ancora al palo. Il progetto «Perla Pa», ossia il sistema integrato di archivi che consentirà l'accesso pubblico per verificare, oltre che i dati sulle utilities, anche quelli sulle consulenze, sulle assenze dei dipendenti pubblici, sui distacchi e i permessi sindacali, ha scontato i tempi imposti dalle procedure di gara. L'appalto alla fine è stato vinto da Accenture, che dovrà consegnare la banca dati entro i primi mesi del prossimo anno.
A quel punto, l'elenco dei consorzi e delle società pubbliche sarà aperto a tutti e il nuovo sistema, che sarà open data, consentirà l'elaborazione esterna delle informazioni, così che enti di ricerca e università (oltre che i semplici cittadini) possano mettere in risalto fenomeni che non emergono da una semplice lettura dei dati.
Un controllo che potrà tornare utile anche per tradurre in pratica le tante norme che hanno provato a mettere un freno al proliferare delle società, e la cui attuazione è stata oggetto di una girandola di proroghe (si veda anche l'articolo nella pagina a fianco). Sui numeri del capitalismo municipale, però, il vero cambio di rotta dovrebbe (condizionale obbligatorio) arrivare dalla nuova Carta delle autonomie, sempre che riprenda vigore il testo scritto già da un anno e poi inabissatosi a causa della ribalta esclusiva ottenuta dai decreti attuativi del federalismo fiscale.
Le due gambe della riforma, in realtà, dovrebbero viaggiare insieme, anche perché non è semplice fissare le risorse da attribuire ai vari livelli di governo senza decidere contestualmente che cosa le amministrazioni debbano fare con questi soldi.
Il testo preparato nella primavera del 2009 si basava su un concetto semplice quanto rivoluzionario: per gestire il territorio bastano gli enti previsti dalla Costituzione (regioni, province, comuni e città metropolitane), e tutte le realtà «intermedie» (consorzi, enti parco, bacini imbriferi) devono finire nel dimenticatoio.
Se arriverà così in Gazzetta ufficiale, questa regola farà sopravvivere solo le società che hanno un mercato: ma l'esperienza di questi anni impone una certa cautela.
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