La crisi di fiducia che sta attanagliando l'Unione monetaria europea non può essere affrontata soltanto con i meccanismi d'intervento straordinari approvati dal Consiglio dei ministri europeo nella seduta fiume del 9 maggio. La crisi ha origine dal fallimentare sistema di governance dell'Unione monetaria ed è a questo livello che deve essere affrontata.

Per la prima volta, dopo anni di sostanziale assenza dal dibattito, la Commissione Ue ha risposto alla sfida proponendo una riforma radicale del Patto di stabilità e crescita (Comunicazione del 12 maggio 2010), riforma che dovrà poi essere approvata dai paesi per diventare operativa, senza tuttavia che questo richieda una revisione del Trattato Ue.
La proposta si articola in tre punti fondamentali. Primo: il rafforzamento del coordinamento delle politiche fiscali. Secondo: il monitoraggio delle divergenze macroeconomiche. Terzo: la creazione di un meccanismo di gestione permanente delle crisi debitorie dei paesi dell'area euro.

Il primo punto prevede l'anticipo al primo semestre dell'anno della valutazione dei piani nazionali di convergenza fiscale da parte del Consiglio europeo. Questo "semestre europeo" dovrebbe consentire una maggiore capacità del Consiglio d'influire sulla formulazione dei budget nazionali per l'anno successivo. Si prevede anche un rafforzamento delle sanzioni in caso di deviazioni rispetto ai parametri del Patto: dal deposito (fruttifero) di risorse alla sospensione dei finanziamenti europei dal Fondo di coesione.
Nel valutare il rispetto dei parametri, una maggiore enfasi viene posta sul rapporto debito/Pil: se il rapporto eccede il 60% e non mostra segni apprezzabili di riduzione, scatta la procedura per deficit eccessivi.

L'impostazione appare ragionevole in un orizzonte di breve periodo: è quello che si può fare senza modificare il Trattato Ue, agendo solo sulle procedure applicative. Inoltre si tratta di un approccio abbastanza graduale da poter sperabilmente superare le resistenze di coloro che temono un'eccessiva perdita di sovranità nazionale.
Tuttavia, potrebbe non essere sufficiente nel lungo periodo. Le forti tensioni che hanno accompagnato l'accordo sul piano di assistenza finanziaria alla Grecia e le perduranti turbolenze sui mercati finanziari indicano che l'Europa si trova di fronte a un bivio storico: o riesce a fare un salto in avanti nel percorso d'integrazione economica, o rischia di retrocedere per decenni, mettendo in discussione la tenuta dell'Unione monetaria.
Il salto in avanti richiede il trasferimento di parte della politica fiscale a un'autorità europea, che gestisca un vero e proprio bilancio federale della Ue. Il disegno originale della moneta unica prevedeva che prima o poi questo salto sarebbe avvenuto: i mercati finanziari si stanno domandando se si tratta di un sogno oppure di una prospettiva realistica, seppure non immediata.

Occorre quindi impostare subito il cammino che porterà dal coordinamento della politiche fiscali nazionali (su cui ancora insiste la Commissione nella sua Comunicazione) alla creazione di una politica fiscale europea. Il trasferimento di sovranità fiscale rappresenta un passaggio storico e impegnativo, ma è la logica conseguenza di quanto già avvenuto con il trasferimento della sovranità monetaria.
Il secondo punto prevede un esame da parte del Consiglio europeo delle divergenze di carattere macroeconomico, relative ad esempio all'andamento della produttività e dei conti con l'estero. Il Consiglio potrà emettere raccomandazioni ai singoli paesi dell'area euro in caso di un esito insoddisfacente di questo esame. L'attenzione dedicata dalla Commissione alle divergenze strutturali è un passo avanti apprezzabile.

Finalmente si comincia a prendere atto che i problemi nella tenuta dell'Unione monetaria non derivano solo dalle finanze pubbliche, ma hanno la loro origine nei divari di produttività e nei disavanzi di parte corrente tra un paese membro e l'altro. Resta da vedere se il monitoraggio da parte del Consiglio sarà veramente efficace, oppure sia destinato a tradursi in dichiarazioni di principio con scarse conseguenze concrete.
Il terzo punto prevede la creazione di un meccanismo permanente di assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà nel finanziamento del debito pubblico sul mercato, sull'esempio del piano recentemente approvato per la Grecia e degli interventi previsti dall'accordo del 9 maggio. L'erogazione dei prestiti dovrebbe essere condizionata all'attuazione di misure correttive di finanza pubblica.

Anche in questo caso si tratta di un significativo passo avanti. Disporre di un meccanismo definito ex ante dovrebbe evitare di assistere alle incertezze e all'improvvisazione con cui è stato gestito il caso greco, con tutte le conseguenze negative in termini d'instabilità dei mercati finanziari e di maggiore costo del finanziamento pagato dalla Grecia. Il limite della proposta della Commissione consiste nel prevedere assistenza finanziaria solo a favore del paese debitore.
Sarebbe importante aggiungere la possibilità d'intervenire a favore dei creditori di uno stato insolvente, qualora esso non rispetti gli impegni d'aggiustamento fiscale e quindi non meriti il finanziamento comunitario. In questo modo verrebbe disinnescata la mina del contagio in caso d'insolvenza di un debitore sovrano, togliendogli un'arma di ricatto formidabile nei confronti degli altri paesi dell'area. In questo senso andava la proposta del Fondo monetario europeo che è stata invece accantonata nel dibattito successivo; andrebbe ripresa.

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