I talia in declino o partner molto orgogliosi? Quando si lavora con le statistiche, misure inevitabilmente imprecise e soggette a tutti i problemi d'aggregazione di grandezze economiche diverse, il dubbio può nascere. Marco Fortis, economista alla Fondazione Edison, nel suo articolo pubblicato dal Sole 24 Ore di ieri, ha sollevato il tema, confrontando le "prestazioni" degli uffici statistici di Italia, Francia e Germania.

«Forse - ha scritto Fortis - è lecito nutrire qualche interrogativo sull'attendibilità delle statistiche dell'ultimo decennio relative al Pil dell'Italia e dei due nostri più grandi partner nell'Euroarea». Questa limitata attendibilità sarebbe legata - secondo Fortis - ai deflatori, la distanza che si crea tra due diverse misure del Pil (o di altre grandezze economiche): una al valore corrente, di mercato, l'altra a prezzi storici, per depurare i dati dall'andamento dell'inflazione. Tecnicamente il deflatore è una grandezza "residuale", calcolata ex post, e misura l'inflazione "interna" - escludendo quindi quella importata, oggi sempre più importante - su tutti i beni senza tener però conto, a differenza dei classici indici dei prezzi, della loro importanza per i consumatori. Analogamente avviene nei singoli settori. L'impressione di Fortis, è che gli uffici statistici dei partner dell'Italia «siano stati particolarmente "generosi" con i deflatori delle loro economie». Abbiamo chiesto un parere ad alcuni economisti. (R.Sor.)

Poca discrezionalità per chi calcola i numeri
Carlo Altomonte - Università Bocconi
Le modalità di calcolo del deflatore, così come di tutte le altre misurazioni statistiche tra i paesi europei, sono definite con metodologie omogenee. Risulterebbe alquanto strano che vi fosse una certa discrezionalità degli uffici statistici nazionali nel produrre dati armonizzati a livello europeo; se ammettessimo questa ipotesi, potremmo arrivare a sostenere che anche i dati sull'inflazione, su cui la Bce basa la propria politica monetaria, rischierebbero di essere distorti.
Quanto al dibattito sull'"eccessiva" evoluzione del deflatore in Italia rispetto agli altri paesi europei, possiamo guardare alle stesse dinamiche dal lato dell'offerta, anziché da quello della domanda, analizzando l'evoluzione del costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) in Italia, Francia e Germania. Questo ci consente di metterci al riparo da indubbie distorsioni nella comparazione dei diversi livelli di prezzo. Partendo dai dati Ocse armonizzati tra paesi, nel periodo 2000-2008, l'Italia registra un tasso medio di crescita annuo del Clup del 2,5%, la Francia dell'1,9% e la Germania dello 0,02 per cento. Non sorprende dunque, dato il cambio nominale fisso, che l'Italia perda in dieci anni circa 20 punti di "competitività" rispetto alla Germania, e circa 6 punti rispetto alla Francia.
È sicuramente vero che possiamo raffinare le nostre misurazioni, e che per alcuni specifici settori i messaggi sul "declino" potrebbero essere leggermente diversi, ma questo non può esimerci dal porci seriamente il problema del recupero di competitività del nostro sistema paese.

Il dislivello è maggiore se si guarda al pubblico
Gustavo Piga - Università di Roma 2
Jacques Chirac diceva che «in ogni uomo c'è il meglio ma anche il peggio. Il problema è di coltivare il meglio e eliminare il peggio».
Così per le nazioni e per i loro governi. Quindi faccio fatica a condurre un paragone efficace tra Francia, Germania e Italia sulla base di un solo indicatore di benessere, come il Pil. Apprezzo dunque lo sforzo di Marco Fortis di vivacizzare il dibattito aggiungendo un'altra critica a statistiche che sappiamo largamente imperfette ma a cui diamo un'enfasi spesso spasmodica.
Il rischio che si corre quando si percorre una via in salita come quella di Fortis di criticare il Pil è di essere chiamati "giustificazionisti" dell'azione di un governo che il Pil non riesce a far crescere.
Eppure a me pare che l'unico modo di ribattere a dati indubbiamente interessanti è quello di far notare che differenze di deflatore tra Italia e Germania potrebbero ben essere giustificate dagli enormi differenziali (che non si chiudono) tra il costo del lavoro per unità di prodotto dei nostri rispettivi paesi, data la nostra (minore) produttività e la nostra (maggior) crescita dei salari.
Un'altra risposta è che forse non stiamo guardando al nostro "peggio" quando ci focalizziamo sul settore privato. Se potessimo valutare non ai costi ma al valore aggiunto la nostra spesa pubblica, scopriremmo che in realtà il differenziale di Pil tra noi e la Francia o la Germania si allargherebbe ancora di più a causa della ben nota maggiore efficacia della Pubblica amministrazione d'oltre Alpe rispetto alla nostra.

Il deflatore riflette divari di produttività
Fabio Fois - Barclays Capital
È vero che, storicamente, il deflatore del Pil italiano è stato maggiore di quello tedesco, ma questo è accaduto anche perché in termini reali l'economia tedesca è andata meglio della nostra. Bisogna tenere presente che tra le due economie ci sono molte differenze in termini di struttura economica: in Germania sono state fatte molte più riforme strutturali (che hanno ridotto il costo del lavoro unitario e aumentato la produttività). Questo si ripercuote sul deflatore del Pil, riducendolo.
Il deflatore è un fatto, una misura ex post che riflette (fra le altre cose) le tensioni sui prezzi e la competitività del sistema, pur non essendo ovviamente perfetto. Solo quando si discute di competitività fra paesi, e quindi di tassi di cambio effettivi, accade di "applicare" un deflatore a una grandezza nominale per trovarne una reale.
Più in generale, è vero che il prodotto interno lordo non è una misura corretta della ricchezza: se si guardano le cose da un punto di vista microeconomico è evidente che i consumatori danno ai beni un valore che i Pil spesso non riescono a rivelare o ad "apprezzare".
Molte cose sfuggono a questi indicatori, come l'economia sommersa, che pure gli istituti di statistica riescono in qualche modo a valutare, e l'Istat è particolarmente bravo a spiegarci come. Anche riconoscendo questi limiti, bisogna ammettere che i Pil hanno ancora senso, sono l'unico solido strumento comparabile al momento a nostra disposizione.

 

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