Saranno certamente della partita i dirigenti di prima fascia della Pa centrale (sono circa 600) e i 10.140 magistrati, che hanno guadagnato in media nel 2008 124mila euro e arrivano a 178mila euro dalle parti della corte dei conti. In salvo dovrebbero essere invece i professori universitari, nonostante le minacce dei giorni scorsi, perché in media gli assegni fissi agli ordinari si sono attestati nel 2009 a quota 91mila euro. Solo rettori e presidi di facoltà, insieme a qualche ordinario con anzianità particolarmente alta, dovrebbero essere chiamati a mettere mano al portafoglio.
Più nutrito, ma ricco di differenze al proprio interno, il gruppone dei dirigenti di seconda fascia e degli enti locali; i mille dirigenti del parastato devono prepararsi al taglio (in seconda fascia guadagnano in media 104mila euro), mentre molti dei loro colleghi nei ministeri (media 70mila euro) o a Palazzo Chigi (85mila euro) potranno stare tranquilli. Negli enti locali, circa il 40% dei 14mila fra dirigenti e segretari dovrebbe essere coinvolto, e il colpo sarà più duro nelle regioni dove i livelli retributivi sono molto più alti.
Ad ampliare il novero dei possibili destinatari dei sacrifici ci sono i rinnovi contrattuali che hanno da poco coinvolto quasi tutti i dirigenti pubblici, e che potrebbero in alcuni casi sterilizzare l'effetto austerità. Con qualche danno previdenziale, perché i contratti puntano sulla parte variabile, che ha un coefficiente meno generoso nella trasformazione in pensione. Impossibile, vista l'incertezza sui dettagli, fare ipotesi sul beneficio per i conti pubblici, ma il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta chiarisce che il problema non è qui: «Bisogna dare un esempio, anche se non risolutivo dal punto di vista del gettito; il rigore è un valore in sé».
G.Tr.
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