Marco Alfieri
BRESCIA
«Un sistema istituzionale vecchio, opaco, inefficiente. Un freno allo sviluppo del paese e della sua economia». E poi, in Italia, «c'è un grande problema di legalità…»
Il presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San Paolo, Giovanni Bazoli, sceglie la sua Brescia, meglio l'anticamera nobile di villa Fassati Barba di Passirano, il convegno «La regola mancante» organizzato da Fondazione etica, per tornare a riflettere sul Paese Italia, in una congiuntura in cui la Leonessa e il bazolismo sono tornati crocevia del capitalismo italiano, in asse con la galassia Acri di Giuseppe Guzzetti e in cooperazione («nell'abbraccio» dice qualcuno) con il tremontismo egemone, culturale prima che di governo. Il parterre è di quelli da Prima stagionale: dall'ex presidente del Cds di A2A Renzo Capra al finanziere Salvatore Mancuso, dal sottosegretario Stefano Saglia a Gino Trombi fino alla Brescia delle professioni che contano, in testa l'avvocato Pierpaolo Camadini, nipote e delfino del notaio più famoso della città, oggi socio del glorioso studio Bazoli-Martinazzoli-Montini. Il cerchio che si chiude sulle due anime della finanza bianca della Leonessa.
Per Bazoli, arrivato a fine simposio direttamente da Torino – il suo intervento è stato distribuito – «l'Italia è un paese che continua a sopravvivere senza governare, evitando le decisioni scottanti». Eppure il nostro Parlamento «produce una tale massa di leggi nella maggior parte norme non generali, leggine, se non leggi ad personam…». Al contrario delle riforme di cui ha bisogno il paese. «Riforme che svecchino le sue istituzioni, non necessariamente grandi riforme», precisa Bazoli. «Portare trasparenza nelle decisioni e nei flussi finanziari; individuare le responsabilità nella catena decisionale; evitare sovrapposizione di ruoli e cumulo di incarichi, forieri di conflitti di interessi; ripensare meccanismi di selezione delle classi dirigenti su base meritocratiche; controllare e vigilare, perché non basta fare regole se poi si fa in modo che rimangano lettera morta».
Naturalmente la “regola mancante”, per Bazoli è ben più profonda: «C'è come un decadimento generale della cultura del paese. In troppi deridono il principio di legalità per assumere il modello del più furbo». Invece bisogna riportare «l'etica pubblica alla base dell'agire comune, bisogna sporcarsi le mani – dice citando don Milani – a che servirà averle pulite, se le avremo tenute in tasca…?»
Insomma una sorta di manifesto politico, «se non avessi già troppe cose da fare, per carità», si scansa Bazoli, nella quiete del giardino in villa, ben pettinato e di un verde rigoglioso.
Anche sulle banche si è esercitato il bazolismo delle regole. «Da un lato c'è il modello americano, logica di mercato competitiva e quasi spietata. A fianco il modello europeo in cui l'intermediario bancario, pur perseguendo l'efficienza, è consapevole della sua responsabilità sociale...».
Questo «non significa uscire dal proprio ambito istituzionale e impropriamente fare politica», chiosa il professore. «Farsi carico di tali interessi rientra, al contrario, nei suoi compiti professionali…».
Che poi è quasi una glossa al ruolo che già da tempo ha ritagliato per la sua banca di sistema. Simile al mainstream tremontiano che ha permeato la prima parte del simposio. Il nuovo scenario lo ha fissato Giovanni Gorno Tempini, neo ad di Cdp, bazoliano alla corte di Tremonti: «la crisi ci lascia un'eredità pesante. C'è molto debito pubblico da ridurre». Già, ma come? «Non con l'inflazione, non aumentando le tasse, ma tornando a crescere», precisa Gorno. E siccome «le forze di mercato sono state fortemente colpite, ci vuole la mano pubblica a fare da facilitatore. Focalizzandosi su grandi investimenti infrastrutturali invece che spendere soldi senza riflettere». Dunque la Cdp «come long term investor e come garanzia per il capitale di rischio».
Anche qui: la regola mancante significa un ripensamento «del vecchio rapporto pubblico-privato, passando dallo stato erogatore allo stato promotore», ragiona Andrea Montanino, dirigente generale del Tesoro, l'uomo di Tremonti sui dossier finanziari in perfetta sintonia nella Brescia bazoliana. Eccolo il nuovo orizzonte, nella penuria di soldi pubblici: «dai Tremonti bond alla moratoria sul credito delle imprese, dal monitoraggio dei prefetti al fondo di investimento Pmi fino alla banca sud». Lo stato non scuce un euro ma si attiva in funzione di sponsorship, facendosi promotore (e controllore) di carattere generale. Per Gregorio Gitti, presidente di Fondazione etica, «si tratta di un cambio epocale. Significa avvicinarsi al superamento della distinzione tra diritto pubblico e privato, applicando meccanismi privatistici alla sfera di intervento pubblico». Una nuova sintesi, all'ombra di Bazoli. E Tremonti.
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