NEW YORK - La nazionalizzazione di Freddie Mac e Fannie Mae resterà la svolta chiave di questa crisi finanziaria che ci portiamo dietro da quasi due anni. L'ultimo tentativo per scongiurare il pericolo di una crisi sistemica della finanza globale. Ma anche l'avvio, a partire da ieri, di un lungo dibattito sul futuro delle due organizzazioni, il cui assetto definitivo resta per ora molto incerto, nonché sull'equilibrio ideale fra stato e mercato. Un dibattito aperto ieri dal segretario al Tesoro Henry Paulson: «nel tempo, queste due organizzazioni usciranno ridimensionate e, mi auguro, in grado di poggiare sulle loro gambe». «Wishful thinking», illusione velleitaria, gli ha già risposto da Boston il deputato Barney Frank, capo della commissione bancaria alla Camera, come dire, il ruolo pubblico di Freddie e Fannie resterà invariato…. Ma Paulson ha già spiegato come intende procedere. Intanto rileverà un miliardo di dollari in titoli privilegiati per ciascuna delle due aziende, otterrà warrants che gli consentiranno al Tesoro di avere il controllo fino all'80% del capitale di entrambe e si impegna, in un secondo tempo, a versare fino a 200 miliardi di dollari per ricostituire il capitale di entrambe, prosciugato dall'attuale crisi di liquidità. I due amministratori delegati, Daniel Mudd di Fannie Mae e Richard Syron di Freddie Mac, saranno sostituiti rispettivamante da Herb Allison, ex Merrill Lynch ed ex amministratore delegato del fondo pensione TIAA-CREF e David Moffett, ex direttore finanziario di US Bancorp ed ex partner del fondo di private equity Carlyle. Il mandato dei due sarà limitato, anche perché dovranno rispondere a James Lockhart, responsabile dell'agenzia di regolamentazione federale Federal Housing Financial Agency, la nuova struttura di regolamentazione che svolge da luglio il ruolo di supervisore assoluto di Freddie e Fannie. Ma il vero obiettivo di Paulson è quello di proteggere l'investimento dello stato e di avviare un ridimensionamento di Freddie e Fannie. E dunque il Tesoro riceverà un dividendo privilegiato e chirografario del 10% all'anno per la durata del suo investimento. Soprattutto, per chiudere, come lo ha definito «un modello di business difettoso», vuole limitare il portafoglio delle due istituzioni fino a un massimo di 850 miliardi di dollari per la fine del 2009. Attualmente Fannie ha un portafoglio di 798 miliardi di dollari e Freddie di 798 miliardi di dollari. Raggiunta la "stabilizzazione", il Tesoro dovrebbe incoraggiare una riduzione di quella esposizione massima di 850 miliardi di dollari del 10% all'anno, fino a che non si ridurrà il portafoglio massimo per ciascuna delle aziende a 250 miliardi di dollari ciascuna. I democratici, e fra questi appunto Barnie Frank o Charles Schumer in Congresso, sono contrari a una riduzione del ruolo pubblico di questi due bastioni del New Deal Roosveltiano. E l'incertezza di questa battaglia sta proprio nel fatto che l'anno prossimo ci saranno sia una nuova amministrazione che un nuovo Congresso.
Un dibattito, quello del giorno dopo, che avviene dunque su più livelli. Il primo è l'immediato. Per ora, sul piano operativo, l'intervento dello governo americano su Fannie e Freddie ha funzionato. Le borse hanno reagito bene. Lo Stato torna ad essere in modo esplicito garante in prima persona. I politici sia a destra che a sinistra si trovano in sintonia: «un'operazione necessaria».
Resta un dubbio, appunto, sul dopo, sul futuro. Anche perché si tratta di un futuro in due tempi. Quello che riguarda, a medio termine, la stabilità del mercato. A lungo termine riguarda invece l'assetto di queste due mega-organizzazioni, fino a ieri "parastatali" a tutti gli effetti, con tutte le ambiguità della promessa non scritta di una protezione benevola dello stato in caso di difficoltà. Il tutto condito da una peculiarità tutta americana: la nazionalizzazione del fine settimana, spettacolare per tempismo e dimensione, resterà il capo d'accusa di cui dovranno rispondere sul piano ideologico sia i democratici che i repubblicani, ciascun gruppo con responsabilità diverse. I democratici, restano colpevoli delle ambiguità stataliste di Freddie e Fannie, che hanno portato alla crescita esponenziale delle due strutture. I repubblicani sono colpevoli di aver favorito una deregolamentazione del sistema, un lassismo dei controlli, prima negli anni Novanta e poi dopo il 2001, negli anni di Bush Jr. Il paradosso è questo, l'anima privata, per produrre profitti, si spingeva su rischi pericolosi, fidando nella copertura dello stato. La mancanza di regole consentiva alle due agenzie di muoversi in tutta libertà, con un effetto moltiplicatore per il rischio di fondo. Ora tutto diventa più trasparente. È lo Stato a fare da guida e garante. I 5.000 miliardi di titoli Freddie e Fannie in mano di investitori di vario genere saranno garantiti. Gli 11.000 miliardi di dollari che fanno il giro d'affari del settore continueranno ad esistere. Pagheranno gli azionisti: il loro investimento, che poteva sembrare sicuro, è svanito. Almeno in questo, il Moral Hazard implicito in un'operazione di questo genere è stato evitato.
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