L'economia cinese continua a crescere a ritmi sostenuti. Lo ha certificato l'indice sulla produzione industriale della banca britannica Hsbc che, a gennaio, ha toccato livelli record. Ai massimi da venti mesi anche il dato della locale China Federation of Logistics and Purchasing. Oltre all'attività manifatturiera, hanno iniziato a crescere anche i prezzi. La spinta inflazionistica ha messo in allarme i mercati finanziari, già depressi dopo le recenti misure di stretta creditizia recentemente adottate dall'esecutivo cinese. Ora in molti scommettono su un rialzo dei tassi d'interesse da parte della banca centrale cinese. Il timore di una stretta creditizia ha influito sulla seduta poco brillante delle Borse asiatiche e sull'avvio negativo dell'Europa, poi risalita sulla scorta di alcuni dati americani.

Ma non sono solo le indicazioni sul fronte dei prezzi a renderla probabile. C'è anche la necessità di disinnescare il rischio bolla dei mercati azionari. Un pericolo di cui ilsole24ore.com aveva già parlato nei mesi scorsi e che il consigliere della banca centrale Fan Gang ha recentemente definito «la vera preoccupazione per l'economia cinese». Per far fronte alla stretta creditizia anche Pechino, come Europa e Stati Uniti ha tagliato il costo del denaro. Ma così facendo ha inondato il mercato di liquidità, finita soprattutto in Borsa e nel mercato immobiliare. I prezzi di case e azioni sono cresciuti a ritmo sostenuto in questi ultimi mesi, al punto che diversi esperti e addetti ai lavori hanno suonato il campanello d'allarme sul «rischio bolla».

La combinazione di due elementi (speculazione immobiliare-finanziaria e inflazione) fanno quindi scommettere su un rialzo dei tassi. Secondo Ba Shusong, consulente del Governo cinese, questo potrebbe avvenire se i prezzi al consumo dovessero superare il tasso di riferimento per i depositi a un anno (2,25%). Altri invece sono convinti che la Banca centrale adotterà altre misure. Ad esempio, come ha già fatto le scorse settimane, imponendo alle banche di aumentare il coefficente di riserva obbligatoria. Questa mossa, tra l'altro, ha fatto già sentire i suoi primi effetti sui finanziamenti concessi dagli istituti di credito. Come riporta l'Economic Information Daily dell'agenzia ufficiale Xinhu, a gennaio le banche hanno prestato 1.600 miliardi di yuan (234,4 miliardi di dollari). In calo rispetto ai 1.620 miliardi di gennaio 2009. È significativo notare poi come il grosso della crescita (1.100 miliardi di yuan) sia avvenuto solo nei primi dieci giorni del mese. Cioè prima dell'entrata in vigore della nuova normativa sulle riserve bancarie.

Ma quali conseguenze potrebbero esserci sul mercato valutario? È possibile che la stretta creditizia inneschi quella rivalutazuione dello yuan tanto invocata a occidente per riequilibrare gli scambi internazionali? Su questo fronte le indicazioni sono contrastanti. Le recenti oscillazioni della valuta cinese dimostrano come il mercato non abbia avuto indicazioni definite. Alla riapertura degli scambi la moneta cinese, invece che apprezzarsi per effetto delle rinnovate voci di stretta monetaria, si è svalutata dopo che il vicepresidente della banca centrale Zhu Min ha detto che non ci sono piani a breve termine per rafforzare lo yuan. Un'inversione di tendenza rispetto alla scorsa settimana quando le parole, questa volta di un membro dell'esecutivo, avevano fatto scommettere su una risalita dello yuan. Il vicepresidente Li Keqiang aveva infatti detto che il governo, per favorire l'economia, avrebbe puntato più sui consumi interni che sulle esportazioni. Tutto fa pensare quindi che, a differenza di quanto avviene in occidente, Pechino riesca a restringere il credito evitando il rafforzamento della valuta. Un altro effetto dello strano capitalismo della Cina comunista.

 

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