La fusione tra Telefonica e Telecom Italia sarebbe già finita sul binario morto, anche se in Mediobanca il tema non è stato ancora archiviato

La fusione tra Telefonica e Telecom Italia sarebbe già finita sul binario morto, anche se in Mediobanca il tema non è stato ancora archiviato. Non c'è nel merito alcuna comunicazione ufficiale, come del resto non c'era stata quando si è iniziato a ragionare sull'ipotesi di integrazione. Ma sulla carta appare evidente che, con una fusione, sono più i problemi che si creerebbero di quelli che si risolverebbero.

Mettere insieme i due gruppi significherebbe cambiare le regole dell'aritmetica perché uno più uno farebbe meno di due. In Sudamerica – area che conta molto per Telecom e moltissimo per Telefonica – non sarebbero possibili sinergie, considerato che l'entità fusa dovrebbe disfarsi di una delle partecipazioni in eccesso nei paesi in sovrapposizione, sia in Argentina che in Brasile. E si sa che quando si è forzati a vendere non si riesce a spuntare le condizioni migliori. In Europa, dopo la vendita agli spagnoli della tedesca Hansenet, non ci sono più aree che vedano una contemporanea presenza non dominante dove sviluppare sinergie. Che, nell'impossibilità già oggi di sfruttarne in America latina, restano quantificate in 1,3 miliardi, da suddividere tra i due gruppi.

Va da sè che la "legittima difesa" nazionale di pretendere lo scorporo della rete in Italia non farebbe che aumentare le controindicazioni all'operazione. E, in più, c'è il discorso del debito. Sia Telecom che Telefonica sono tra gli operatori più indebitati in Europa. Gli spagnoli perché hanno sostenuto l'espansione, Telecom perché si è pagata il controllo. In termini relativi, unire i due gruppi, non cambierebbe di molto la situazione e comunque al netto delle dimissioni forzate – che farebbero diminuire il debito, ma anche il perimetro degli asset – un debito complessivo dell'ordine di un'ottantina di miliardi sarebbe tale da far tremare i polsi a qualsiasi direttore finanziario che provasse a cimentarsi nell'impresa.

In Spagna non pare esserci entusiasmo alla prospettiva: il titolo Telefonica ha già pagato dazio al circolare delle voci. E in Brasile il gruppo guidato da Cesar Alierta ha fatto sapere che quest'anno investirà nel paese 3,5 milioni di reais, di cui 2,3 milioni per l'operatore fisso Telesp, il resto nelle altre attività compreso l'operatore Vivo (joint con Portugal Telecom). Sarebbe strano mettere soldi sul piatto, se si considerasse l'eventualità di dismettere. La convenienza di Telefonica, in questa fase, è piuttosto quella di mantenere lo status quo.

Ma per Telecom, se tramonta l'ipotesi di fusione con il socio partner e concorrente, l'obiettivo dovrebbe essere delineare una strada alternativa. Non sarà l'aggiornamento del piano industriale "ordinario" (che allargherà l'orizzonte al 2012) a fornire una risposta. Ma l'alternativa strategica è quello che si aspetterebbero gli altri azionisti di Telco e i soci di minoranza.

Che ieri, come Asati (l'associazione dei piccoli azionisti-dipendenti rappresentativa all'incirca dello 0,3% del capitale), hanno riconosciuto all'attuale gestione il merito di avere migliorato l'immagine della società e i rapporti con l'Authority, ma hanno chiesto, in vista del consiglio di giovedì, di «impostare una strategia di crescita dei ricavi e delle quote di mercato, soprattutto nel mobile, piuttosto che limitarsi alla difesa dei margini e del cash flow, agendo solo sulla riduzione dei costi, del personale e degli investimenti». E, in mancanza della disponibilità a sottoscrivere un aumento di capitale finalizzato al rilancio, Asati torna a proporre l'ipotesi di una newco della rete, cui partecipino investitori pubblici e privati e altri operatori che conferiscano le proprie infrastrutture (con riferimento alle «oltre 60 reti locali in fibra ottica oltre a quelle regionali e alle reti Infratel»).

Asati continua inoltre a dichiararsi contraria alla dismissione di Telecom Argentina. A riguardo si registra il reiterato interesse del gruppo Condor, guidato da Carlos Newbery, che la settimana scorsa si è recato in visita nella sede romana di Telecom Italia per illustrare le sue intenzioni, ottenendo come risposta che la procedura è in mano all'advisor Credit Suisse. Newbery, a quanto si dice, sarebbe comunque disposto non solo a offrire più dei 630 milioni di dollari che finora costituiscono l'offerta più alta presentata per il 50% di Sofora, ma anche a retrocedere al venditore parte del plusvalore che, sanato il dissidio tra i soci (la famiglia Werthein è da tempo sul piede di guerra), l'imprenditore è convinto di poter ricavare da Telecom Argentina.
Tra gli altri argomenti, in vista questa volta dell'assemblea di aprile, Asati chiede una relazione aggiornata sulla vicenda Tavaroli e un rapporto di auditing sul cosiddetto "progetto Magnum", relativo alla dismissione di immobili sedi di centrali telefoniche.

 

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