Il danno di immagine è enorme: la reputazione della Toyota è andata in pezzi, dopo la "crisi dell'acceleratore" che ha costretto il gruppo a richiamare milioni di autovetture. Per la casa che ha insegnato e sta insegnando a tutte le aziende del mondo come distribuire, insieme ai prodotti, qualità e soddisfazione per i clienti, la vicenda è una vera débâcle.
Era inevitabile quindi che la crisi travolgesse lo stesso modello di management del gruppo e proprio perché molte aziende e istituzioni, anche pubbliche, stanno adottando sistemi organizzativi che si rifanno in modo più o meno diretto al Toyota Production System (Tps). Dalle riviste specializzate il tema ha raggiunto anche le pagine dei giornali e sull'International Herald Tribune è intervenuto il maxi-consulente Kenichi Ohmae, ex partner McKinsey, secondo il quale il grande errore della casa automobilistica è stato quello di aver troppo decentrato e parcellizzato le sue procedure di miglioramento dei difetti: la filosofia del kaizen, «l'accumulazione di piccoli miglioramenti», ha moltiplicato a dismisura la complessità dei sistemi elettronici mentre nessuno riusciva a conservare uno sguardo d'insieme. «L'azienda ha tanto perfezionato la sua pratica del kaizen dal basso verso l'alto nella linea di assemblaggio che ha perso il "grande quadro" di come funziona il sistema elettronico del motore, e quindi la sicurezza complessiva», ha scritto. Alla Toyota è quindi venuto meno il fattore umano, quella «singola persona che abbia una conoscenza complessiva dei dettagli del motore e di come esse interagiscono».
La critica è radicale, anche se il consulente resta ottimista sulle capacità di Toyota di rimettersi in carreggiata. Ohmae non è nuovo del resto a tesi un po' esasperate. È suo il concetto, per esempio, di impresa transnazionale, lo stadio evolutivo successivo a quello della multinazionale, di cui si trovano però talmente pochi esempi da aver spinto qualche studioso a metterne in dubbio la sua validità.
«Ohmae è una persona intelligente che porta a estreme conseguenze, con una logica rigorosa, una tesi le cui conclusioni sono però sbagliate» spiega allora Gianfilippo Cuneo, uno dei più importanti consulenti italiani, il quale sottolinea come qualsiasi bene complesso sia oggi prodotto dall'interazione di decine di migliaia progettisti e di moltissimi fornitori, più competenti dei committenti: «Non è più possibile avere un ingegnere meccanico come Dante Giacosa che seguiva tutti i dettagli della Cinquecento» osserva.
La tesi di Ohmae non appare invece così eccentrica a Stefano Tonchia, docente di Business & Innovation Management dell'Università di Udine, che la condivide totalmente: pur riconoscendo che esiste una forma di gerarchia anche nel kaizen di Toyota sottolinea che effettivamente «il rischio è quello di perdere di vista l'insieme: serve un regista con il "naso" distante dalle cose».
Ohmae mette invece d'accordo tutti quando chiede alla Toyota «un nuovo ethos organizzativo». Per gli esperti di management, l'azienda ha tradito la sua stessa filosofia: «È come se la Toyota avesse smarrito la sua vocazione - dice Egidio Napoli, della Management for Excellence - ha fatto l'errore tipico di orientare l'organizzazione su se stessa, dimenticando il cliente». Ha deciso di crescere, come ha ammesso anche il presidente Akio Toyoda, «ma il gigantismo - aggiunge Napoli - non porta nessun vantaggio agli acquirenti». E neanche all'azienda: «Per contenere al massimo i costi non bisogna puntare sulle economie di scala - spiega - ma concentrarsi sui clienti: si elimina così tutto ciò che non porta valore». Toyota ha invece seguito un'altra strada: «A forza di ridurre i costi, anno dopo anno si supera un limite impalpabile oltre il quale si inizia a fare compromessi con la qualità anche se non necessariamente con la sicurezza» sottolinea Cuneo.
Il gigantismo ha poi creato una forma pericolosa di autocompiacimento e il gruppo non si è accorto di diventare inadeguato: il vecchio modello Toyota si alimentava di un Giappone che ancora ricordava la dedizione dei samurai per il loro padrone, in cui era possibile coinvolgere anche il più semplice operaio. Oggi il paese si è occidentalizzato, ma la Toyota, spiega Tonchia, «non si è aggiornata» proprio mentre le aziende del mondo adattavano il suo sistema a sistemi sociali molto diversi, meno autoritari.
Le dimensioni hanno inoltre portato burocrazia, sovrapposto le procedure, appesantito l'azienda: la casa di Tokyo non è riuscita quindi a evitare i pericoli legati a una cristallizzazione delle gerarchie, evitata dalle imprese più attente all'affidabilità dei prodotti: «Quando qualcosa non funziona - spiega Cuneo - si deve agire subito. Le case aeronautiche sono le più efficienti, sotto questo punto di vista: c'è un canale diretto, senza penalizzazioni, per segnalare errori e guasti: non c'è nessun problema a dire: "Ho sbagliato". Nelle imprese gerarchiche il capo è più bravo "per definizione" qui è un collega e somiglia più a un allenatore di professionisti molto competenti». Le informazioni, in queste organizzazioni, bypassano tutte le linee di comando, e raggiungono subito i responsabili. Alla Toyota le cose non sono andate così.
Le critiche anche aspre non riescono però a travolgere la validità del Tps. «Va introdotto non solo nelle aziende, ma in tutte le organizzazioni», dice Napoli. «Bisogna prendere la parte buona del modello - aggiunge Alberto Galgano, sostenitore da sempre del sistema Toyota - che oggi è applicato anche all'esercito o alla marina. Quello che conta è il valore di due principi: il miglioramento continuo e il potenziamento del contributo delle persone: il gruppo di Tokyo riceve dal basso un milione di suggerimenti l'anno. È un sistema che aumenta la produttività».
Si può dunque prevedere che le imprese continueranno ad adottare un sistema di lean management in stile Toyota. Ormai, dice Tonchia, è una necessità: «Sono come le regole di igiene: chi non le applica è fuori. Nei prossimi due o tre anni tutti, anche le pubbliche amministrazioni, cercheranno di recuperare». Occorre essere consapevoli, però, che non basterà: «A un certo punto ci sarà un livellamento: quando tutti saranno leaned - conclude Tonchia - il modello non darà più vantaggi competitivi». E bisognerà pensare a qualcosa in più.
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