Nel 2009, se proprio hanno pianto, di certo non hanno riso. Nel 2010 potrebbero soffrire ancora. Ma potrebbero anche tornare a sorridere. Non parliamo di banche ma di banchieri e dei loro stipendi. Che, dopo la grande secca dell'anno scorso, quando vennero decurtati per il fallout della crisi dei subprime – e anche su pressione delle autorità di vigilanza e degli azionisti imbufaliti –, alla prossima stagione assembleare potrebbero tornare a crescere. Grazie a budget sapientemente parametrati.

L'anno scorso i top manager dei principali gruppi italiani pagarono dazio alla crisi. Furono molti gli amministratori delegati, i presidenti e i dirigenti di prima fascia che videro ridotta drasticamente la quota (assai rilevante nel computo finale) dei bonus variabili legati ai budget di bilancio. Non sempre si trattò di un effetto automatico dovuto alla crisi: in qualche caso prevalse la moral suasion esercitata da Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia, anche nel suo ruolo di presidente del Financial Stability Forum. Nella prossima tornata assembleare, quando verranno discussi i bilanci del 2009, le cose potrebbero andare però diversamente. La motivazione sta nei conti al 31 dicembre.

Sui 10 principali gruppi nazionali (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Popolare, Ubi, Montepaschi, Mediobanca, Bper, Bpm, Credem e Banco Desio) le previsioni per l'esercizio 2009 indicano una decisa crescita (+12,3% su base annua) del risultato lordo di gestione, più che compensata però dall'enorme balzo degli accantonamenti (+35,2%), dovuti soprattutto alla necessità di provvedere al drastico peggioramento della qualità del credito. Il tutto si potrebbe tradurre in un calo notevole dell'utile operativo (-12,4% a 10,4 miliardi) e in uno ancora maggiore (-29,4% a 5,4 miliardi) di quello netto.

Proprio su queste cifre si giocheranno le chances dei banchieri di ricevere nuovamente, per il 2009, la sostanziosissima quota variabile dei propri emolumenti. Le politiche di remunerazione seguite dagli appositi comitati nei principali gruppi nazionali seguono algoritmi complessi collegati a budget di bilancio e ai piani strategici aziendali. Ne è prova, ad esempio, la politica di remunerazione e incentivazione per il management del primo gruppo nazionale, Intesa Sanpaolo, esplicitata nel bilancio sociale 2008 e nella Relazione sul governo societario del 20 marzo 2009.

Vi si legge che, oltre ai compensi fissi per le cariche principali, «i criteri guida per la remunerazione dei consiglieri di gestione in carica nel triennio 2007/09 prevedono... di riconoscere una parte variabile della remunerazione che verrebbe corrisposta a fine mandato in esito al raggiungimento di alcuni risultati di medio periodo, individuati nel Piano d'impresa triennale. Per il Consigliere delegato sono previsti anche compensi integrativi su base annua in relazione a determinati parametri dei budget di riferimento. I parametri predefiniti per la corresponsione della componente variabile riservata ai consiglieri di gestione sono la redditività, la qualità del credito, l'efficienza operativa e la solidità patrimoniale; per ciascun parametro è stata individuata una soglia minima; la componente variabile una tantum, prevista alla scadenza del mandato, è stata fissata nella misura pari alla metà degli emolumenti fissi del triennio uguali per tutti i consiglieri.

La componente variabile annuale per il Consigliere delegato, con riferimento al budget 2008, dipende dal conseguimento di alcuni dei sopra citati parametri individuati per il Consiglio di Gestione, ancorché per valori differenti strettamente correlati alle previsioni di budget, nonché da un ulteriore parametro costituito dal rating sul debito a medio e lungo termine assegnato dall'agenzia S&P. La componente variabile una tantum, prevista con riferimento al raggiungimento dei risultati di budget indicati, è pari a una annualità della remunerazione fissa riservata al Ceo, mentre quella connessa ai parametri collegati al Piano d'impresa triennale è stata fissata nella misura pari a due volte detto importo».

Dunque, sulle possibilità di erogazione dei bonus, peserà sì la qualità del credito, che con la crisi si è andata deteriorando, ma peserà anche la situazione patrimoniale che invece è migliorata. Soprattutto peserà la riduzione della redditività: ma non quella netta, quella operativa. Un parametro da tenere sott'occhio, in questo caso, potrebbe essere l'Eva, l'enterprise value added, cioé il risultato operativo al netto delle tasse rapportato al costo del capitale impiegato. Il tutto non in termini numerici ma di raggiungimento di una soglia minima all'interno di un intervallo di variazione. L'ultima incognita potrebbe essere relativa al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano d'impresa. Ma le premesse di tutti i piani aziendali, nel settore, sono saltate a causa della crisi. Dunque...
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