Ci sono questioni che per lungo tempo restano confinate al mondo accademico, senza mai diventare argomento del dibattito pubblico. E ve ne sono altre che invece scoppiano alla luce del sole. I problemi posti dal modello economico tedesco, tutto fondato sulle esportazioni, sono ormai usciti dalle aule universitarie per diventare argomento politico, scoperchiando tensioni latenti tra la Germania e i suoi vicini europei.
In un'intervista al Financial Times il ministro delle Finanze francese Christine Lagarde ha criticato la politica economica tedesca, esortando la Germania a rafforzare la domanda interna per aiutare l'export dei partner europei. Da Berlino il ministro dell'Economia Rainer Brüderle, ha ribattuto: «Per i paesi che hanno vissuto di rendita trascurando la loro competitività puntare il dito contro la concorrenza è umanamente e politicamente comprensibile, ma ingiusto».
«Chiaramente - ha detto la signora Lagarde - la Germania ha fatto un eccellente lavoro negli ultimi dieci anni per migliorare la sua competitività, tenendo sotto controllo il costo del lavoro. Non sono sicura che sia un modello sostenibile nel lungo termine e per l'insieme» della zona euro. «C'è bisogno di una convergenza migliore». Esortando la Germania a fare qualcosa per ridurre l'attivo delle partite correnti, il ministro ha aggiunto: «Per ballare il tango bisogna essere in due».
La signora Lagarde ha messo il dito nella piaga, notando gli squilibri economici nella zona euro. La Germania ha un attivo delle partite correnti del 5% del prodotto interno lordo: esporta, ma non consuma, vende ma non acquista. Ormai il suo export rappresenta il 48% del Pil, rispetto al 40% di dieci anni fa. Sul fronte opposto ci sono molti altri paesi della zona euro che soffrono spesso di un elevato deficit delle partite correnti.
A giocare non è solo la debolezza dei consumi tedeschi, dovuta in parte all'invecchiamento della popolazione, ma anche le differenze di competitività tra i paesi dell'unione. Negli ultimi anni la Germania ha ridotto i salari reali, rendendo le proprie merci particolarmente concorrenziali, mentre viceversa in molti altri paesi della zona euro il costo del lavoro è aumentato, pesando ulteriormente sull'export verso un mercato tedesco poco dinamico.
Dietro alla richiesta della Lagarde di rafforzare i consumi tedeschi si nasconde in fondo la preghiera di ridurre le tasse. Il problema è che tagliare le imposte significa mettere a rischio il risanamento del bilancio senza certezze sul fronte della domanda interna, tenuto conto del forte tasso di risparmio. Finora l'opinione pubblica tedesca, e con essa una parte consistente dell'establishment, ha preferito mantenere lo status quo.
Da un lato, ha probabilmente ragione il governatore della Bundesbank Axel Weber che già la settimana scorsa respingeva le critiche, ricordando che «a dettare le regole sono i mercati mondiali». Le critiche francesi sono quelle di un paese che ha fatto meno bene della Germania. Dall'altro però è anche vero che i tedeschi sembrano coltivare nella zona euro un sentimento nazionalistico di autosufficienza, frustrante per i suoi partner.
In tempi di crisi le tensioni sopite emergono prepotentemente. All'improvviso, la moneta unica mostra le debolezze di ciascuno, non più solo i punti di forza dell'unione. Il dibattito aperto dalla signora Lagarde si è trasferito ieri a Bruxelles: l'Austria, che ha goduto anch'essa in questi anni di un attivo delle partite correnti, ha difeso la Germania; mentre la Spagna, alle prese con un deficit dei conti correnti, ha preso posizione a fianco della Francia.
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