Iniziamo dai dati. Allo stato attuale le banche più esposte sulla Grecia sono quelle francesi (78,8 miliardi a dicembre 2009) e quelle tedesche (45 miliardi). Anche perché gli istituti di entrambi i paesi sono gli unici, in Europa, a non aver abbandonato Atene: quelli tedeschi, addirittura, hanno aumentato la loro esposizione del 4% negli ultimi tre mesi e del 17% nell'intero 2009. Il che ha un sapore paradossale, dato che proprio il governo tedesco è il più freddo su un salvataggio della Grecia. Le banche italiane sono invece minimamente esposte: 6,8 miliardi di dollari a dicembre 2009. Tutti i principali istituti hanno reso noto di avere pochi soldi nello stato ellenico. Il Montepaschi appena 20 milioni di euro, mentre Intesa Sanpaolo è esposto sui paesi Pigs per 1,5 miliardi di euro (solo lo 0,2% del totale attivo), due terzi dei quali sulla Grecia. Minima la presenza di UniCredit, irrisoria quella di Ubi (24 milioni).
Allora qual è il problema? È legato proprio alla fuga delle banche – e degli investitori – dai titoli di Stato di Atene. Questa fuga ha infatti causato l'impennata dei rendimenti su livelli insostenibili, tanto che ora la Grecia non riesce più a rifinanziare (dunque a rimborsare) i suoi debiti. Fin che questo resta un problema greco non succede nulla, ma cosa accadrebbe se la stessa fuga contagiasse altri Paesi come Portogallo e Spagna? E a giudicare dall'impennata dei rendimenti, è verosimile che la fuga da questi paesi sia già in atto. Anche perché da quando la Bce ha ridotto le sue operazioni di rifinanziamento, le speculazioni con i titoli di Stato (carry trade) sono diventate meno convenienti.
Ecco, allora, il problema: quest'anno gli Stati dovranno emettere tantissimi titoli di Stato. Deutsche Bank stima che il fabbisogno di liquidità di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sfiori, nell'intero 2010, i 900 miliardi di dollari. Così, proprio nell'anno delle grandi emissioni di titoli di Stato, le banche – che tradizionalmente sono i maggiori acquirenti – iniziano a fare retro marcia. Se oltre alla Grecia abbandonassero anche altri paesi, si creerebbe un circolo vizioso: a soffrire sarebbero i governi emittenti, ma anche le stesse banche che hanno i portafogli comunque zeppi di bond governativi sempre più svalutati. Insomma: il cappio degli uni stringerebbe anche il collo degli altri. Ecco perché crollano sia i prezzi dei titoli di Stato sia le azioni delle banche: i loro destini, in un certo senso, sono incrociati. Ecco perché, probabilmente, la fuga non continuerà.
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Morya Longo
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