Se il destino della Grecia dipendesse dalle banche europee, sarebbero guai seri. Mentre i Governi cercano l'accordo su come salvare il salvabile, gli istituti di credito la loro decisione strategica l'hanno infatti già presa: fuggire da Atene. A gambe levate. Secondo i calcoli del Sole-24 Ore sui dati della Banca internazionale dei regolamenti, negli ultimi tre mesi del 2009 le banche europee hanno infatti mediamente ridotto l'esposizione sulla Grecia del 29%. Dopo lo scoppio in ottobre della crisi, hanno "scaricato" sul mercato 79 miliardi di dollari di debiti targati Atene. Il piede più lesto l'hanno avuto gli svizzeri, che in tre mesi hanno ridotto l'esposizione del 95%. Ma si sono difesi bene anche gli istituti del Belgio (-54%), dell'Austria (-24%) e dell'Italia (-20%). È vero che il debito greco ammonta ad appena 200 miliardi di euro, dunque ci vuole poco per ridurre l'esposizione, ma la fuga da Atene pone comunque due interrogativi. Uno: a chi le banche hanno scaricato i bond greci? Due: se lo stesso trattamento viene ora riservato ad altri Paesi, come Portogallo o Spagna, che impatto ci sarà sui titoli di Stato?
Iniziamo dai dati. Allo stato attuale le banche più esposte sulla Grecia sono quelle francesi (78,8 miliardi a dicembre 2009) e quelle tedesche (45 miliardi). Anche perché gli istituti di entrambi i paesi sono gli unici, in Europa, a non aver abbandonato Atene: quelli tedeschi, addirittura, hanno aumentato la loro esposizione del 4% negli ultimi tre mesi e del 17% nell'intero 2009. Il che ha un sapore paradossale, dato che proprio il governo tedesco è il più freddo su un salvataggio della Grecia. Le banche italiane sono invece minimamente esposte: 6,8 miliardi di dollari a dicembre 2009. Tutti i principali istituti hanno reso noto di avere pochi soldi nello stato ellenico. Il Montepaschi appena 20 milioni di euro, mentre Intesa Sanpaolo è esposto sui paesi Pigs per 1,5 miliardi di euro (solo lo 0,2% del totale attivo), due terzi dei quali sulla Grecia. Minima la presenza di UniCredit, irrisoria quella di Ubi (24 milioni).
Allora qual è il problema? È legato proprio alla fuga delle banche – e degli investitori – dai titoli di Stato di Atene. Questa fuga ha infatti causato l'impennata dei rendimenti su livelli insostenibili, tanto che ora la Grecia non riesce più a rifinanziare (dunque a rimborsare) i suoi debiti. Fin che questo resta un problema greco non succede nulla, ma cosa accadrebbe se la stessa fuga contagiasse altri Paesi come Portogallo e Spagna? E a giudicare dall'impennata dei rendimenti, è verosimile che la fuga da questi paesi sia già in atto. Anche perché da quando la Bce ha ridotto le sue operazioni di rifinanziamento, le speculazioni con i titoli di Stato (carry trade) sono diventate meno convenienti.
Ecco, allora, il problema: quest'anno gli Stati dovranno emettere tantissimi titoli di Stato. Deutsche Bank stima che il fabbisogno di liquidità di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna sfiori, nell'intero 2010, i 900 miliardi di dollari. Così, proprio nell'anno delle grandi emissioni di titoli di Stato, le banche – che tradizionalmente sono i maggiori acquirenti – iniziano a fare retro marcia. Se oltre alla Grecia abbandonassero anche altri paesi, si creerebbe un circolo vizioso: a soffrire sarebbero i governi emittenti, ma anche le stesse banche che hanno i portafogli comunque zeppi di bond governativi sempre più svalutati. Insomma: il cappio degli uni stringerebbe anche il collo degli altri. Ecco perché crollano sia i prezzi dei titoli di Stato sia le azioni delle banche: i loro destini, in un certo senso, sono incrociati. Ecco perché, probabilmente, la fuga non continuerà.
m.longo@ilsole24ore.com

Morya Longo
 

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