Dopo il risveglio delle coscienze della scorsa estate i commercianti si ribellano al pizzo

Nella fresca mattina del 29 agosto di 17 anni fa, Palermo ancora sonnecchiava agli sgoccioli delle ferie estive. Libero Grassi veniva ucciso all'ingresso della sua azienda per la quale aveva lottato rifiutando di pagare il pizzo. Un omicidio nel silenzio politico, istituzionale, di categoria e soprattutto nel silenzio della società civile. Oggi Palermo si sveglia diversa. Dal capoluogo fino ai centri più piccoli nascono associazioni antiracket, i commercianti iniziano a presentarsi in Questura per denunciare gli estorsori, le associazioni degli imprenditori come Confindustria prendono una posizione netta contro il pizzo, mentre alle celebrazioni ufficiali di questa mattina prenderanno parte anche i negozianti palermitani che hanno detto no al pizzo.
Un risveglio delle coscienze sancito esattamente la scorsa estate dopo anni di torpore con un segnale fermo e deciso dopo gli attentati a diversi imprenditori siciliani che occupano ruoli di primo piano sull'Isola, come Andrea Vecchio e Marco Venturi, rispettivamente presidente dell'Ance Catania e presidente della Piccola Industria siciliana. Dodici mesi dove tra i numerosi arresti di boss e picciotti si è visto il codice etico di Confindustria, "chi paga il pizzo fuori dall'associazione", mentre un imprenditore palermitano, Andrea Conticello, puntava il dito in tribunale contro i propri estorsori.
Diciassette anni fa la lotta di Libero Grassi fu definita "inutile" in una Palermo di inizi anni '90 che ancora doveva essere sconvolta dalle due stragi di Falcone e Borsellino e l'associazione degli industriali di Palermo diceva di non poter essere "vessillifero dell'antimafia". Era il periodo in cui la mafia, secondo un'opinione diffusa, era un'invenzione della stampa, mentre a Catania venivano prosciolti 65 impuntati perché pagare il pizzo per preservare gli affari non era poi così grave.
Dire no al fantomatico "geometra Anzalone" (così si presentavano allora gli estorsori) in una Palermo di quegli anni era un atto di rottura, qualcosa di "impensabile" come titolava il Washington Post del 15 maggio 1991. Il geometra Anzalone si presentò per chiedere un contributo per i carcerati dell'Ucciardone: 50 milioni di lire. Libero Grassi rispose pubblicamente, con una lettera al "caro estorsore" sul Giornale di Sicilia del 10 gennaio 1991. «Libero credeva, sperava che altri imprenditori si ribellassero, che altri come lui decidessero di non pagare, ma fu lasciato solo da tutti. Al funerale c'erano pochi amici stretti e poi solo presenze istituzionali accorse per fare le loro dichiarazioni ipocrite» ricorda amaramente la vedova Pina Malsano Grassi. Una scena vissuta alcuni mesi prima, il 4 maggio, quando fu organizzato dai Verdi un convegno a Palermo su mafia e sviluppo a cui parteciparono lo stesso Libero Grassi e la moglie (allora portavoce cittadina dei Verdi): dei 2000 inviti spediti a imprenditori siciliani nell'aula consiliare del Comune c'erano solo 30 persone (un incontro che sarebbe rimasto solo nella memoria di quelle persone se non fosse poi stato trascritto nel primo quaderno dell'Osservatorio Libero Grassi).
«È bello vedere che le coscienze si sono risvegliate – afferma Pina Malsano Grassi – adesso vedo quella società civile che 17 anni fa era assente, oggi gli imprenditori non sono soli, c'è Confindustria e ci sono le associazioni di volontariato. I giovani sono il futuro, basti pensare che molti commercianti che hanno denunciato il pizzo sono stati spinti dai propri figli. Bisogna riscoprire la dignità del lavoro legale». Bisogna appunto tornare a fare gli imprenditori come afferma lo stesso Marco Venturi (vedi pezzo a lato).
«Noi continuiamo a fare il nostro lavoro come lo abbiamo sempre fatto – afferma Maurizio Calvino, capo della squadra mobile di Palermo – però vedere gli imprenditori che entrano in Questura e decidono di denunciare è un passo importante per tutti. Non solo per le indagini ma anche per la città stessa». E le indagini proseguono a ritmi serrati. «Dal 2005 a oggi sono stati fatti 411 arresti tra capimandamento e manovali della mafia – prosegue Calvino - operazioni importanti a partire da Grande mandamento fino alle quattro Addio Pizzo compresa la Old Bridge in collaborazione con l'Fbi. Gli imprenditori che denunciano aumentano, certo non sono grandi numeri, siamo sull'ordine di qualche decina, ma fino a qualche anno fa le denunce si contavano sulla punta delle dita di una sola mano».
Nell'estate del 2004 Palermo si svegliava tappezzata di volantini listati a lutto che dicevano "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". Per alcuni giorni la città si interrogò su quel gesto, poi si scoprì che erano dei giovani, fondatori di Addiopizzo, la risposta della società civile. Parte così la protesta della gente comune, il consumo critico (ovvero l'acquisto di prodotti solo in esercizi commerciali che rifiutano di pagare il pizzo) e a marzo di quest'anno il "Punto pizzo-free", nel centro storico di Palermo, un emporio dove vengono venduti solo i prodotti dei negozianti che si sono ribellati pubblicamente al racket aderendo al comitato Addiopizzo. Un continuo lavoro per non far sentire soli gli imprenditori e dopo 17 anni Palermo ritrova la propria coscienza.

 

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