Per il New York Times le dimissioni del direttore di Avvenire, Dino Boffo, dopo l'attacco sferrato dal Giornale della famiglia Berlusconi segna un salto di qualità nello scontro in atto tra il premier italiano e la Chiesa cattolica. «La lezione» di quanto accaduto, osserva il giornale americano è «che nessuno può osare sfidare Berlusconi, nemmeno la Chiesa». E tuttavia, aggiunge, forse questa volta il premier ha fatto il passo più lungo della gamba. Anche i suoi amici - nota il giornale - dicono ora che il premier sta navigando in acque pericolose e che la chiesa può danneggiarlo politicamente».

«La popolarità di Berlusconi, come dicono i sondaggi, è in calo, e - scrive il New York Times - Berlusconi sembra profondamente preoccupato di ulteriori colpi, che potrebbero venirgli particolarmente dall'elettorato cattolico moderato... Nonostante un calo nella frequenza delle messe, la Chiesa cattolica rimane l'istituzione chiave in Italia e molti italiani scelgono proprio quei candidati che hanno il suo sostegno. La Chiesa, di norma, sostiene i candidati della destra, cosa che rende l'attuale scontro più insolito e significativo».

Della vicenda si occupano diversi quotidiani cartacei e online stranieri, come l'inglese Times, l'americano Wall Street Journal, il quotidiano spagnolo El Pais.

Quanto all'Italia, il premier ha detto che sui giornali di oggi ha letto «il contrario della realtà». I quotidiani protagonisti della vicenda dedicano ampio spazio.

«Avvenire» ne parla per 7 pagine. In prima campeggia il titolo «Direttore Galantuomo». «La decisione irrevocabile di lasciare il quotidiano che ha guidato e fatto crescere di ruolo per 15 anni - si legge in un box in prima pagina - è giunta al settimo giorno della violenta aggressione giornalistica scatenata contro Boffo dal «Giornale» con la diffusione del testo gravemente diffamatorio di una lettera anonima fatta addirittura passare per sentenza giudiziaria».

Il quotidiano cattolico, inoltre, pubblica integralmente la lunga lettera che Boffo ha inviato al cardinale Angelo Bagnasco, con il titolo «Resto idealmente e moralmente dove sono sempre stato». L'assemblea dei redattori titola «Atto di stile e generosità davanti a un ripugnante attacco». Infine, in due pagine «Avvenire» ospita una valanga di lettere di stima e solidarietà a Boffo. «Così sei stato e rimani il direttore del nostro giornale», si legge nel titolo. Ed ancora: «Grazie per la tua grande lezione di stile e sobrietà».

Il Giornale di Feltri titola invece «Boffo va, ma il caos aumenta». Nell'editoriale il direttore del quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi dice che Dino Boffo «avrà avuto le sue ragioni per assumere una simile decisione. Il cardinal Bagnasco ha accettato senza indugi l'addio, e anche il porporato avrà avuto le sue ragioni per farlo». Feltri aggiunge: «il nostro obiettivo non era quello di accrescere il numero dei disoccupati. Non conosco personalmente l'ex timoniere del giornale della Cei e non avevamo motivo per procurargli un danno». Poi sottolinea: «ci premeva solo dimostrare che le sue prediche erano in contrasto con il suo stile di vita privata; e che, poiché certe critiche mosse dal quotidiano dei Vescovi concernevano il comportamento (vero o presunto) pure privato del premier, il pulpito da cui provenivano non era idoneo».

Feltri osserva come Boffo «abbia contribuito a seppellerci sotto una coltre di improperi» però poi aggiunge: «a questo punto siamo comunque dispiaciuti. Perché il direttore dimissionario, essendosi eclissato, difficilmente farà quello che avrebbe dovuto fare subito e non ha fatto: ossia raccontare come si sono svolti i fatti (non negarli) estraendo dal cassetto gli atti che solo lui (e i suoi avvocati) ha». Quindi una domanda sul perché il dossier sul caso Boffo non sia stato reso pubblico dal gip di Terni. «E' molto strano - dice il direttore del giornale - quello riguardante Boffo è l'unico processo in italia in cui le carte erano e sono inaccessibili (...). Perché il gip si ostina a proteggere il dossier con una blindatura senza precedenti?». Perchè, si chiede ancora Feltri, «la storia di Boffo viene tenuta in cassaforte? Qualcosa non quadra. Intendiamoci - conclude - non invochiamo la divulgazione dell'incartamento per infierire sull'ex direttore di Avvenire» ma per dimostrare «che i pataccari non siamo noi, ma chi ci ha dipinti come tali».

 

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