TORINO - La patente di attendibilità gli è stata pubblicamente riconosciuta appena qualche giorno fa dai magistrati di Firenze che ne hanno chiesto la protezione. Ma oggi per il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza è arrivato il momento di dimostrare la bontà delle proprie dichiarazioni, di quei racconti che entrano nel merito dell'inquietante rapporto tra politica e mafia, nei misteri delle stragi che hanno segnato l'Italia del nostri giorni: quelle del 1992 ma soprattutto quelle del 1993-94.

Oggi Gaspare Spatuzza, il picciotto che ha studiato alla scuola di Leoluca Bagarella (quello del proclama contro il 41bis nel 2002 seguito l'appello agli amici avvocati in Parlamento), ed è poi diventato l'uomo di fiducia dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss del quartiere palermitano di Brancaccio, depone a Torino. A lui, imbianchino diventato capomafia e oggi studente di teologia, nell'aula bunker colma nei suoi 250 posti disponibili, quella delle grandi occasioni del palazzo di giustizia del capoluogo piemontese, è riservato il pelo e il contropelo nel processo d'appello al senatore Marcello Dell'Utri, già condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Da lui, il quarantacinquenne ex killer oggi in crisi mistica, nel palazzo di giustizia che si trova a ridosso di via Giovanni Falcone e di via Paolo Borsellino, i quasi 200 giornalisti accreditati si aspettano che ripeta in aula ciò che ha detto in tanti interrogatori ai magistrati di Firenze e che ha ripetuto poi a Caltanissetta e a Palermo: il nome di Marcello Dell'Utri, certo, «il compaesano», ma anche e soprattutto quello di Silvio Berlusconi. I due che i Graviano, secondo il racconto che uno dei fratelli ne avrebbe fatto a Spatuzza ritenevano persone serie, non come quei «crasti (cornuti) dei socialisti» e avrebbero dato garanzie tanto da far credere ai mafiosi palermitani di «essersi messi il paese nelle mani».

Sono tali e tante le cose che il sostituto procuratore generale Nino Gatto dovrà chiedere al collaborante che in tanti si chiedono se basterà un'udienza a completare l'esame del teste perché è ovvio che i legali di Dell'Utri, il quale sarà probabilmente in aula a sentire le parole del pentito che sarà protetto da un paravento, cercheranno in tutti i modi di far emergere possibili buchi, contraddizioni o altro. «Abbiamo avuto poco tempo per leggere le migliaia di pagine trasmesse da Firenze – dice uno dei tre legali di dell'Utri, l'avvocato Giuseppe Di Peri (gli altri due sono l'ex deputato di Forza Italia Nino Mormino e Alessandro Sammarco) – ma noi faremo sin da subito la nostra parte. Poi vedremo». Risolto il dubbio sui 180 giorni di tempo dati ai collaboranti per raccontare e compreso che il pentito può raccontare i fatti già a verbale, come riconosciuto da una sentenza della Cassazione, i legali del senatore Dell'Utri non staranno con le mani in mano: da giorni si preparano a questo appuntamento e dicono: «C'è troppo clamore su un pentito che non dice il vero».

La Corte d'appello di Palermo presieduta da Claudio Dell'Acqua spera di poter chiudere in un giorno la pratica, ma ai più sembra veramente difficile. E poi al di là della deposizione di Spatuzza ci sono altri punti su cui si aspetta una risposta dal procedere del processo. Potrebbero, per esempio, essere ascoltati nelle prossime settimane i fratelli Graviano o anche altri pentiti della cosca: Pietro Romeo, per esempio, oppure Salvatore Grigoli, il picciotto che insieme a Spatuzza eseguì l'omicidio di don Pino Puglisi. Anche se ieri l'agenzia di stampa il Velino annunciava che ci sarebbero altri cinque pentiti in arrivo a supporto del racconto di Spatuzza, detto u tignusu (pelato). E poi negli ultimi giorni anche Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco di Palermo don Vito, ai magistrati che indagano sulla trattativa tra Stato e mafia, avrebbe portato un pizzino di Bernardo Provenzano in cui vi sarebbe il nome di Dell'Utri. Il cui processo, a questo punto, si riapre mentre la deposizione di Spatuzza potrebbe provocare nel sistema politico una deflagrazione terribile. Come una bomba atomica, appunto.

 

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