«Domani nella battaglia pensa a me»: il titolo shakespeariano del famoso romanzo di Javier Marías sembra perfetto per l'avvertimento lanciato ieri dall'Anm al governo, in vista delle cerimonie di sabato, nelle 26 Corti d'appello, per l'inaugurazione del nuovo anno giudiziario. I magistrati hanno affilato la loro protesta in modo che pesi come «piombo» sul governo: saranno presenti, toga sulle spalle e Costituzione stretta in mano, ma usciranno dall'aula – tranne a L'Aquila – non appena prenderà la parola il rappresentante del ministero della Giustizia. Lo lasceranno solo e rientreranno soltanto quando avrà terminato di parlare. Allora leggeranno, ovunque, un unico, durissimo documento per dire al presidente del Consiglio e alla maggioranza «basta» con gli «insulti e le aggressioni»; «basta» con le «riforme distruttive»; «basta» con leggi «prive di razionalità e coerenza, pensate esclusivamente con riferimento a singole vicende giudiziarie, che hanno finito per mettere in ginocchio la giustizia penale in questo paese». Infine, distribuiranno ai presenti un dossier per dimostrare, dati alla mano di fonte europea, che i magistrati italiani «non sono fannulloni strapagati».

Le parole dell'Anm raggiungono il ministro della Giustizia mentre è a palazzo Grazioli in un vertice Pdl con il premier su regionali e giustizia. Dopo un paio d'ore, arriva la replica, altrettando dura, di Alfano: «Sono il ministro della Giustizia, servo il mio paese e ho giurato sulla Costituzione», scrive il guardasigilli, bollando come «improvvide» le indicazioni dell'Anm sull'anno giudiziario. «Io ci sarò», aggiunge (confermando la sua presenza domani in Cassazione e sabato a L'Aquila), mentre l'Anm «ha scelto di «macchiare una giornata per i cittadini e per il loro diritto di avere giustizia», dando di sé «un'immagine» in contrasto con «il senso etico delle migliaia di magistrati che ogni mattina servono l'Italia e le istituzioni». Invece di inaugurare l'anno gudiziario, l'Anm ha scelto di «inaugurare la campagna elettorale» per il Csm (si vota in primavera), dice Alfano, sapendo che dall'iniziativa del sindacato delle toghe ha preso le distanze la corrente di opposizione, Magistratura indipendente (che conta numerosi esponenti a via Arenula).

Alla voce di Alfano si aggiungono ben presto quelle di tutti gli esponenti del Pdl: Sandro Bondi parla di «una profonda e oltraggiosa lesione dell'ordine costituzionale» e Fabrizio Cicchitto di «vulnus allo stato di diritto», mentre il Pd difende il diritto dell'Anm di esprimere il proprio dissenso e l'Idv invita il governo «a riflettere sulle ragioni della protesta» delle toghe.

La tensione, insomma, è sempre più alta. Per non farla arrivare alle stelle, ieri il Pdl ha deciso un passo indietro sul ddl che al momento sta più a cuore al premier, quello sul «legittimo impedimento». Per evitare scontri istituzionali (con il Quirinale) e con l'Udc (disponibile ad appoggiare il ddl), ma anche clamorosi boomerang, si è deciso di non estendere il «legittimo impedimento» ai sottosegretari (ne avrebbe beneficiato Nicola Cosentino) e tanto meno ai «concorrenti nel reato». Il combinato disposto delle due norme – e l'automatismo del rinvio, che invece rimane – avrebbe sospeso i processi anche per il figlio di Berlusconi, Piersilvio, e per Fedele Confalonieri, coimputati del premier nei processi Mediaset 1 e 2 per frode fiscale. Di più: nei processi per mafia (come quello a Cosentino, imputato di concorso esterno), lo stop sarebbe stato generalizzato. Berlusconi si è reso conto che il rischio di un'incostituzionalità sarebbe stato enorme e perciò, per ora, ha preferito soprassedere pur di incassare il ddl, in vista dell'approvazione di un lodo Alfano bis in veste costituzionale. Che ieri, nel vertice a palazzo Grazioli, si è deciso di presentare al più presto al Senato.

 

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