La prima tessera socialista Bettino (sta per Benedetto) Craxi la ritirò, a 17 anni, nel 1951 alla sezione di Lambrate. Era un figlio d'arte. Il padre Vittorio, arrivato a Milano dalla Sicilia, prima della guerra, era stato viceprefetto di Milano, e sarà poi candidato nel 1948 per il Fronte popolare. In quella campagna elettorale il quattordicenne Bettino muove i suoi primi passi nella politica. La militanza attiva arriva qualche anno dopo. Dopo aver fondato il nucleo universitario socialista, nel 1956 è vicepresidente dell'Unuri, l'organismo rappresentativo degli universitari italiani.
Nel 1957 sarà protagonista della stagione dell'Ugi, l'Unione goliardica italiana con gli studenti di sinistra: liberali, radicali e socialisti, e nella quale proprio Marco Pannella riuscirà a portare, con il placet di Togliatti, anche quelli comunisti. Ci sono Sergio Stanzani Ghedini, Paolo Ungari, Lino Jannuzzi. Ma arriverà anche Achille Occhetto.

Nel 1958, Craxi lascia la politica universitaria e si dedica al partito. Al Congresso di Venezia del 1957 era stato eletto nel Comitato centrale con gli autonomisti di Nenni. È nella federazione di Milano che Craxi svolge il suo compito di dirigente e funzionario di partito. Sono gli anni dell'avvio del centro-sinistra, ma anche quelli della scissione dei carristi del Psiup. Gli autonomisti si pongono idealmente nella tradizione dei socialisti gradualisti: Turati, Treves, Bissolati, ma anche i fratelli Rosselli. L'attenzione di Craxi per il socialismo liberale ebbe più avanti una conferma in occasione della pubblicazione del saggio di Luciano Pellicani sul pensiero di Proudhon, inteso come «radicale alternativa al comunismo statolatrico».

E quanto Craxi fosse legato alla storia e alla tradizione del socialismo italiano lo dimostra in diverse occasioni. Ad una delle quali fui testimone. Appena approdato in viale Lunigiana, alla guida della federazione milanese del Psi, dopo aver ricevuto due giovanissimi compagni napoletani, in cerca di contatti con gli autonomisti nenniani di Milano regalò loro una serigrafia di poster che riproducevano tessere socialiste dei primi del novecento, disegnate da Giuseppe Scalarini, il padre dei vignettisti italiani. Il quale su "L'Avanti!" raffigurava i "borghesi" e i "capitalisti" grassi al limite dell'obesità, e i "proletari" magrissimi, oltre il limite della fame.
Nella prima metà degli anni '70, con De Martino segretario, Craxi è uno dei vice e si dedica soprattutto agli impegni internazionali. È nell'Internazionale socialista che stringe legami politici importanti con Willy Brandt, Francois Mitterand, Mario Soares, Felipe Gonzales, e Andreas Papandreu. Dopo il tracollo socialista (sotto il 10%) nelle elezioni del 19 giugno del 1976, il comitato centrale sfiducia De Martino ed elegge il quarantaduenne Bettino Craxi segretario nazionale. Regista dell'operazione è Mancini che mette d'accordo tutte le correnti. Davanti al neosegretario c'è un partito in macerie. Craxi dice: «Primum vivere». E il Psi vive. Si arriva così al congresso di Torino dal quale la leadership di Craxi esce rafforzata grazie ad un solido asse dagli autonomisti e la sinistra lombardiana guidata da Claudio Signorile e Fabrizio Cicchitto.

Quel congresso si svolge in un clima drammatico: Moro è nelle mani delle Br, la sua scorta è stata annientata. I partiti dalla Dc al Pci si pronunciano per la linea della fermezza: nessuna trattativa con il partito armato. E anche Craxi nella sua relazione congressuale non nasconde l'improponibilità di una trattativa diretta tra lo Stato e «chi ha falciato delle giovani vite sul selciato di via Fani». Poi, nella replica, il segretario socialista, richiamando la tradizione umanitaria dei socialisti e mette al primo posto l'obiettivo di salvare la vita all'ostaggio, pur «nel rispetto delle leggi repubblicane». Una scelta che ha il sostegno di un grande giurista socialista, Giuliano Vassalli, molto vicino anche alla famiglia Moro. Ma Pertini è nettamente contrario. E anche un uomo della cerchia più ristretta dei suoi amici come Tognoli ha dei dubbi.
Craxi mira soprattutto a evitare il consolidamento di un asse preferenziale tra Dc e Pci attorno alla linea della fermezza. Siamo in piena solidarietà nazionale, alla quale il Psi ha contrapposto al compromesso storico la prospettiva dell'alternativa di sinistra, che passa però per un riequilibrio di forze tra il Psi e il Pci: i comunisti sono ancora legati a Mosca e, essendo la forza nettamente prevalente nella sinistra italiana, metterebbero a dura prova le alleanze internazionali dell'Italia. Craxi, puntando sul ritorno di Moro alla politica, cerca e trova una sponda con il prigioniero delle Br per mettere in crisi il compromesso storico Dc-Pci.
Il caso Moro finisce tragicamente e subito dopo, in conseguenza dello scandalo Lockheed, Giovanni Leone si dimette da presidente della Repubblica. Si deve scegliere il nuovo capo dello Stato. Craxi compie un capolavoro politico, ottenendo l'elezione di Pertini, che pure non è mai stato benevolo nei suoi confronti.

Le elezioni per il capo dello Stato risentono degli esiti della tragedia Moro e delle dimissioni di Leone. Molti pensano che, forte della convergenza da lui auspicata tra la Dc e il Pci di Berlinguer, abbia buone possibilità Ugo La Malfa. Ma la sua candidatura non riuscirà a concretizzarsi. Craxi mette dal principio in chiaro: «O è socialista o non è». Né Zaccagnini, né Berlinguer sono in condizioni di dirgli di no. Salterebbe l'equilibrio politico, che a questo punto si regge sulla centralità socialista tra Dc e Pci. Dinanzi alle insistenze dei repubblicani per la candidatura di La Malfa mi capitò (per motivi più familiari che giornalistici), di sentire questa avveduta spiegazione da parte dal comunista Gerardo Chiaromonte: «Noi saremmo molto contenti di votare La Malfa, ma devono starci anche i socialisti. E badate bene che questo discorso ve lo fa anche Zaccagnini».

Al momento di stringere Craxi gioca la sua carta e mette sul tappeto tre nomi: Giuliano Vassalli, Antonio Giolitti, e Sandro Pertini. Il primo è l'unico politicamente vicino al segretario socialista, il secondo è un suo avversario interno, molto gradito al giornale "La Repubblica", il terzo è il presidente della Camera. Alla fine, forte anche della carica istituzionale, passa Pertini con il sostegno di quello che allora si chiamava l'arco costituzionale. Craxi ha vinto e Pertini sceglie come segretario generale Antonio Maccanico, molto vicino a La Malfa.

I successi elettorali fanno parlare Craxi di «onda lunga socialista». Nella Dc ha vinto la linea che si oppone a Zaccagnini. È tempo di preambolo e di pentapartito. A palazzo Chigi arriva, con il sostegno di Craxi, Giovanni Spadolini, repubblicano e primo presidente del Consiglio laico.
Il 21 luglio del 1983 Pertini dà a Craxi l'incarico di formare il Governo. Nasce un pentapartito e Craxi sarà presidente del Consiglio fino al 17 aprile del 1987. Il confronto in Parlamento è durissimo soprattutto con il Pci, che, in occasione della scelta per i missili Nato a Comiso, come risposta agli SS20 sovietici, non esita ad accusarlo di essere «servo degli americani». Ma sarà proprio Craxi, in occasione del caso Abu Abbas, mettendo in campo i carabinieri a rispondere a muso duro agli americani che hanno cercato di ottenere la consegna del terrorista palestinese a Sigonella. I repubblicani apriranno la crisi di governo, Craxi si dimetterà, ma poi, reduce da un chiarimento con Reagan in occasione di un G7, la crisi politica rientrerà.

Intanto Craxi, nel 1984, ha tagliato la scala mobile di quattro punti, sollevando grandi proteste più da parte del Pci che della stessa Cgil. È infatti il partito di Berlinguer a proporre il referendum sulla scala mobile. Lama seguirà di mala voglia. Le urne danno, con il 54%, ragione a Craxi. Sotto la pressione della Dc di De Mita, dopo i memorabili scontri per la staffetta, Craxi lascia palazzo Chigi. Si va con il governo elettorale Fanfani alle elezioni del 14 giugno del 1987. Il Psi sfiora la soglia del 15%. Ma la nuova legislatura vivacchierà di governi Goria, De Mita e Andreotti.

Sono anche gli anni della cosiddetta Milano da bere. I socialisti, nel capoluogo lombardo, sono punto di riferimento, per finanzieri, uomini delle grandi aziende, ma anche per faccendieri. Gli affari hanno in molte occasioni preso il posto della politica. Rino Formica, che del leader socialista è amico disinteressato e non rinuncia alla critica, parla del partito «di nani e ballerine». Craxi è anche legato da amicizia a Silvio Berlusconi. Per tutelare le sue televisioni varerà discussi provvedimenti legislativi. Fu anche suo testimone alle seconde nozze. Ma i paragoni tra i due convincono poco. Berlusconi entrò in politica denunciandone il teatrino. Craxi era quello che faceva scrivere sulla sua biografia di parlamentare: funzionario di partito.
Alla vigilia delle elezioni del 1992 viene arrestato, mentre incassa una mazzetta, Mario Chiesa presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio. Craxi lo bolla come «un mariuolo». Siamo in piena Tangentopoli e il peggio deve ancora cominciare. Comincia dopo le elezioni politiche del 1992 dove il Psi registra un calo modesto, ma è il pentapartito nel suo complesso a perdere: la Dc è a meno 5 punti in percentuale. E, soprattutto, sono le lotte intestine nei partiti a non consentire la tenuta del quadro politico. Lo si vede in occasione delle elezioni del presidente della Repubblica che aprono la Legislatura. Nella Dc sono in competizione due uomini del Caf. Forlani e Andreotti. Si prova sul primo, ma i franchi tiratori (andreottiani, ma anche socialisti) dilagano. La candidatura Andreotti non matura. E ci vorrà la strage di Capaci perché un Parlamento allo stremo sotto le inchieste giudiziarie elegga capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.

Craxi, ormai nel mirino della magistratura, è oggetto di contumelie di ogni genere. Una sera, uscendo dal suo albergo sarà aggredito da un lancio di monetine. Si difenderà in Parlamento dalle accuse dei giudici, assumendosi tutte le responsabilità politiche, e con una chiamata di correità verso gli altri partiti. Ma senza cercare lodi o leggi ad personam. Al processo preferirà l'esilio, dal maggio del 1994 fino alla morte anche a costo di diventare tecnicamente «un latitante».

Il giudizio ora tocca agli storici e non si risolve con riabilitazioni toponomastiche. Ha scritto Mario Pirani su "La Repubblica": «Tutta la vita italiana era condizionata da costi impropri della democrazia. La Dc imponeva tangenti pubbliche, il Pci riceveva soldi da Mosca e dalle cooperative. Ma il marchio dell'immoralità è finito solo su Craxi». Le riabilitazioni toponomastiche potrebbero essere un'inutile scorciatoia. È tempo invece di riflettere, con sobrietà e senza settarismo, su quella che resta, secondo le parole di Ugo Intini, «una storia socialista».

 

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