Sono il Trentino, la Liguria e la Valle d'Aosta le regioni più verdi: il loro territorio è per la maggior parte sottoposto a vincoli paesaggistici. Fa da contraltare la Puglia, la regione con meno aree tutelate (solo il 19 per cento). Differenze regionali a parte, quasi metà dell'Italia è protetta. Si sfiora, infatti, il 50 per cento. Dalla legge 431 del 1985 (la "Galasso) in poi il paesaggio è stato messo sotto chiave. Almeno sulla carta. Nella realtà, il sacco del territorio è continuato e continua.

Da venerdì scorso – in realtà da oggi, considerato il fine settimana festivo – si cambia passo. Tutti gli interventi sulle aree vincolate, a partire da quelli edilizi, devono prima essere approvati dalla soprintendenza. Dal 1° gennaio il parere del soprintendente – che fino all'altro ieri veniva espresso sul progetto già approvato dal comune e poteva fare leva solo su un potere di annullamento per vizi di legittimità degli atti – è diventato preliminare e vincolante. Se l'ufficio dei Beni culturali dice «no», non si può andare avanti.

In questo modo lo Stato si riappropria dell'ultima parola sul paesaggio, funzione finora delegata alle regioni, le quali l'avevano a loro volta sub-delegata, quasi sempre ai comuni, ma in alcune realtà anche a province e comunità montane. Una novità prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio (il decreto legislativo 42/2004, cosiddetto codice Urbani) e rinviata per effetto di varie proroghe.

Le regioni, infatti, hanno ottenuto più volte che la nuova procedura delle autorizzazioni venisse posticipata. Anche perché il processo di predisposizione dei piani paesaggistici da realizzare insieme al ministero – operazione che a quel punto renderebbe obbligatorio ma non vincolante il parere del soprintendente – va a rilento. Sono soltanto otto, infatti, le regioni che hanno siglato finora un'intesa per scrivere le norme di tutela del paesaggio insieme ai Beni culturali. Si tratta di Abruzzo, Campania, Friuli, Piemonte, Puglia, Sardegna e Veneto. Per altre, come Lazio, Umbria e Calabria, il protocollo è pronto, ma non firmato.

Se questa volta la proroga – che, seppure osteggiata dal ministero, era tuttavia nell'aria – non c'è stata è anche perché le regioni hanno ottenuto dai Beni culturali l'assicurazione che l'intera procedura di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica verrà semplificata. Già si è messo mano agli interventi di lieve entità e il regolamento che snellisce le pratiche, dopo il «sì» della conferenza Stato-regioni, è ora all'esame del consiglio di Stato. Dopodiché sarà la volta delle commissioni parlamentari competenti e del via libera definitivo di palazzo Chigi. Al ministero confidano che entro febbraio il regolamento arrivi al traguardo, tanto più ora che c'è la nuova autorizzazione paesaggistica. I due processi sono, infatti, legati: la semplificazione si applica solo ai permessi rilasciati con le nuove procedure.

Il nuovo anno, però, porterà un taglio agli adempimenti anche per tutte le altre autorizzazioni paesaggistiche (dunque, non solo quelle relative a interventi minori). La commissione Amorosino, che ha messo a punto le prime semplificazioni, è stata infatti nuovamente insediata dal ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, con il compito di ripensare tutte le procedure dei permessi per i progetti da realizzare su aree vincolate.

Con l'arrivo del nuovo regime, per le regioni c'è da affrontare anche il problema delle deleghe. Con le nuove procedure di autorizzazione, infatti, oltre 2.600 comuni non hanno più le carte in regola per rilasciare i nullaosta. In tali casi il codice Urbani prevede che le competenze tornino al mittente, cioè alle regioni, che rischiano così di vedersi sommerse di pratiche sul paesaggio, senza esserne attrezzate. Stesso rischio corrono, seppure per altri, motivi anche le soprintendenze.

Ne è convinto Massimo Gallione, presidente del consiglio nazionale degli architetti, una delle categorie dei professionisti interessati dal nuovo regime di autorizzazioni paesaggistiche: «Per quanto mi risulta – afferma – sia le soprintendenze sia le regioni non sono attrezzate al cambiamento. Le prime lamentano una carenza di personale; le seconde sono, in gran parte, ancora indietro sulle deleghe. Il tutto si tradurrà in un forte rallentamento del rilascio dei permessi. In alcuni casi si rischia il blocco».

«È vero che la nuova disciplina – gli fa eco Fausto Savoldi, presidente del consiglio nazionale dei geometri – dà maggiori garanzie sulla tutela del paesaggio. Le soprintendenze dovranno, però, fare un sforzo per rispondere alla chiamata, anche se porteranno un valore aggiunto di competenza. Vedo, invece, più complesso l'adeguamento da parte dei comuni e degli altri enti delegati».

 

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