Le arance sono pagate in media 27 centesimi al chilo nelle campagne, in calo rispetto allo scorso anno e al di sotto dei costi di produzione, ma il prezzo moltiplica fino a 1,55 euro al chilo sul banco dei consumatori con ricarichi del 474% dal campo alla tavola. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti, in occasione dei fatti di Rosarno, dalla quale si evidenzia peraltro che la situazione è ancora più grave per le arance destinate alla produzione di succo che vengono pagate appena 3-4 centesimi al chilo anche perché manca l'obbligo di indicare l'origine nel succo nelle bevande e viene «spacciato» come made in Italy quello importato dal Brasile o dalla Florida.
Con una produzione che quest'anno è stimata pari a 2,3 milioni di tonnellate, il compenso riconosciuto agli agricoltori è insostenibile - sottolinea la Coldiretti - a causa delle distorsioni e delle speculazioni lungo la filiera che hanno portato alla scomparsa in Italia di oltre il 42 per cento di terreno coltivato ad agrumi negli ultimi dieci anni con la chiusura delle imprese agricole, la perdita di opportunità lavoro e di sviluppo del territorio.
«Va garantita la legalità per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il proprio lavoro e gettano un'ombra su un settore che ha scelto con decisione la strada dell'attenzione alla sicurezza alimentare e ambientale, al servizio del bene comune» - ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini - nel sottolineare che «la situazione colpisce la componente più debole dei lavoratori agricoli come gli immigrati, ma anche le tante imprese oneste agricole che operano nella legaltà», costrette a lasciare il prodotto sulle piante per colpa delle pesanti distorsione nel passaggio dei prodotti dal campo alla tavola, con la perdita di opportunità che potrebbero contribuire a ridurre il disagio sociale».
Con circa il 10% di extracomunitari sul totale dei lavoratori agricoli nelle campagne la presenza di immigrati è una componente strutturale. Sono 98.155 i rapporti di lavoro regolari in agricoltura identificati come extracomunitari negli archivi Inps e appartengono a 155 diverse nazionalità anche se a trasferirsi in Italia per lavorare in agricoltura - sostiene la Coldiretti - sono principalmente gli albanesi (15%), i rumeni (12%) e gli indiani (10%) che trovano occupazione soprattutto negli allevamenti del nord per l'abilità e la cura che garantiscono alle mucche.
Numerosi i «distretti agricoli» dove i lavoratori immigrati sono diventati indispensabili come nel caso della raccolta delle fragole nel Veronese, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia-Romagna, dell'uva in Piemonte, del tabacco in Umbria e Toscana o del pomodoro in Puglia. Si tratta di un evidente dimostrazione che - conclude la Coldiretti - gli immigrati occupati regolarmente in agricoltura contribuiscono in modo strutturale e determinante all'economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabili per garantire i primati del made in Italy alimentare nel mondo.

 

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