Ma Branca richiama a responsabilità più ampie:«Ci sono coloro che speculano su questo. Vorrei sapere in via Padova quanti italiani hanno affittato due stanze, magari in nero, a 15 immigrati che dormono accatastati». Anche questo è un controllo che non andrebbe trascurato.
E se in momenti di disagio e di paura ciò che salta all'occhio sono le criticità l'invito adesso è quello di non trascurare quello che le associazioni hanno fatto: «In via Padova ce ne sono molte. Ci sono persino una moschea e una parrocchia che da anni collaborano, la Casa della cultura islamica e la parrocchia di San Giovanni Crisostomo. La scuola di fronte alla quale sono accaduti i fatti di sabato, poi, è la Casa del Sole, da anni esempio di integrazione con corsi di arabo, cinese, nata come struttura modello nel suo genere». Insomma è importante incentivare le buone pratiche che già esistono.
E la paura? Per molti cittadini non è così scontato metterla da parte. «Un disagio certamente c'è», dice Branca citando la società liquida di Zygmunt Baumann, «una società dove le trasformazioni sono troppo rapide. Tanto veloci da non riuscire ad adattarsi, perchè quando il cambiamento viene digerito, già le cose sono mutate un'altra volta». Da qui il senso della minaccia e di non ritrovarsi senza la terra sotto i piedi. Ma l'unica possibilità, insiste l'islamista, è comprendere che questa convivenza di etnie diverse, entro limiti ragionevoli, può essere anche un fattore di arricchimento. Un risultato che si ottiene «lavorando sul terreno, con le persone, le associazioni, non ci si può limitare a discorsi teorici. Quando si arriva all'utilizzo delle forze dell'ordine significa che sono già state perse battaglie precedenti, oscure all'opinione pubblica».
C'è poi la situazione dei ragazzi latino-americani «più esposti di altri, anche perché le madri lavorano 12 ore al giorno come i padri, a differenza delle donne arabe che sono casalinghe e si occupano dei figli». Ragazzi lasciati a loro stessi che si aggregano nelle bande, con in mano sempre una bottiglia di birra. È per questo che «la creazione di nuovi centri di aggregazione giovanile è auspicabile, ma anche quelli che già ci sono vanno potenziati». Per partire dalle esperienze positive che sul terriorio ci sono e ampliarle, «perché la società si salva con la società, non con interventi esterni».
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