«Speriamo di avere, al termine di queste elezioni, la maggioranza nella conferenza Stato-Regioni». La campagna elettorale del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, parte da Torino, a fianco del leghista Roberto Cota che, secondo il premier, sarà il prossimo governatore del Piemonte. In realtà Berlusconi, inizialmente, aveva sostenuto di puntare alla netta maggioranza dei voti degli elettori, a prescindere dall'andamento delle singole regioni: «Conteranno i voti presi, non il numero di regioni». Ma poi il clima di euforia del Lingotto Fiere ha contagiato il presidente del consiglio spingendolo a chiarire cosa il centro-destra valuti come successo: almeno 7 a 6.
La campagna per le regionali parte da qui, dal Piemonte dove il Pdl ha scelto di affidarsi a un leghista. In effetti, nella sala blindata della conferenza stampa, la claque accompagna i passaggi salienti dell'intervento di Berlusconi con ripetuti applausi anche quando il leader del Pdl ignora totalmente l'alleato Gianfranco Fini e si dedica a magnificare la coesione tra Pdl e Lega, con Cota presentato come il trait d'union con Bossi e anche il mediatore tra Berlusconi e il leader del Carroccio: «Nessun problema se cresce il peso della Lega». Il premier ostenta l'amicizia fraterna con il candidato alla presidenza del Piemonte, sottolinea che la gioventù di Cota e l'esperienza maturata sia come presidente del Consiglio regionale piemontese sia a livello nazionale come capo dei deputati della Lega saranno le armi che permetteranno di governare al meglio il Piemonte.
Il passaggio più sentito del suo discorso è tuttavia dedicato alla giustizia. Il giorno dopo la sentenza della Cassazione, che ha deciso la prescrizione per l'avvocato inglese Mills prefigurando anche lo stop al processo correlato che lo riguarda, Berlusconi torna ad attaccare le toghe. «Il caso Mills è una pura invenzione, voglio l'assoluzione piena». E ancora: «Per fortuna i magistrati non sono tutti così, ma siamo in balia di una banda di magistrati talebani. Il male terribile dell'Italia, la vera patologia è la politicizzazione della magistratura, cioè l'uso politico della giustizia. Ma la riforma della giustizia la facciamo, adesso la facciamo, non credo che piacerà molto ai talebani ma adesso la facciamo». Immediata la replica dell'Anm: «Una inaccettabile escalation di offese». In serata il premier rincara la dose: «Qualche volta si dice la corruzione, le organizzazioni criminali... secondo me questa (la magistratura politicizzata, ndr) è la patologia più grave della nostra democrazia».
Berlusconi allarga il discorso e invita gli italiani a una scelta di campo, «tra il governo del fare» e una sinistra disfattista e che vive di critiche pretestuose. Da un lato il centro-destra coeso, «dove tutti i problemi si risolvono in famiglia», e dall'altro un centro-sinistra diviso sui temi concreti così come sui valori. Il premier assicura che la differenza, tra i due schieramenti, è anche umana: una differente concezione della vita, con il centro-sinistra di invidiosi impegnati a distruggere e denigrare l'avversario. Una sinistra che, se vincesse, aumenterebbe le tasse, reintrodurrebbe l'Ici, creerebbe «uno stato di polizia tributaria» e spalancherebbe le porte agli immigrati. Ma la giornata torinese deve servire anche a lanciare Cota, il «candidato ideale». Berlusconi anticipa anche alcuni punti di forza dell'amico leghista, a partire dall'impegno per riportare sotto la Mole il Salone dell'auto. Ma anche un rilancio culturale della regione, nonché turistico. La giornata di Berlusconi si conclude con una cena assieme a 400 sostenitori di Cota, tra cui esponenti del mondo dell'economia piemontese.
Quella del co-fondatore del Pdl Gianfranco Fini si conclude invece con una cena a sostegno della candidatura di Renata Polverini nel Lazio: un evento organizzato dal suo "pensatoio" Farefuturo. Basterebbe questo a segnare la distanza tra i due. Prima il pranzo a Montecitorio con Casini e Pisanu, poi il dibattito pubblico con Giulio Tremonti e Massimo D'Alema in occasione della presentazione della nuova fondazione del ministro Altero Matteoli, infine la riunione attorno alla candidatura-simbolo della Polverini dei "paladini" di Farefuturo. Fini marca le distanze e chiarisce: «Il ruolo di presidente della Camera mi impone di non fare campagna elettorale ma non mi esime dal dovere di fare politica. Questo qualcuno non l'ha capito». Intanto Sandro Bondi smentisce che l'attivismo di Fini crei malumori nel partito: «I problemi ci sono, ma non con Fini. La responsabilità è di alcuni intellettuali che sono andati oltre la volontà politica del presidente della Camera».

 

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