Riabilitato dalla giustizia. Risarcito con 500 miliardi di lire dalla banca (Iccri-Italcasse) che, secondo i giudici, lo aveva fatto fallire. Ricompensato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che gli restituì nell'agosto dello scorso anno quel titolo di Cavaliere del lavoro toltogli con ignominia da Sandro Pertini nel 1981.
A Gaetano Caltagirone, tutto sommato, non era andata male. Passare dal fallimento, con il rischio di seguiti giudiziari, a un tranquillo esilio dorato a Montecarlo, con tanto di riconoscimento pubblico finale, è un bel risultato. Suo fratello Francesco Bellavista, che con l'altro fratello Camillo aveva condiviso l'ascesa e il declino degli anni 70, è addirittura tornato in pista ripartendo dall'Acqua Marcia, una storica società quotata. Sempre a debita distanza dal cugino Francesco Gaetano, detto Franco, padrone dell'omonimo gruppo che include la Vianini, la Cementir e il Messaggero.

Gaetano Caltagirone sarà ricordato, più che per le sue attività imprenditoriali, per come in quegli anni si poteva declinare il rapporto tra affari e politica. La vicinanza dei fratelli Caltagirone alla corrente Dc guidata da Giulio Andreotti era uno degli asset più importanti, se non il più importante, del gruppo attivo nel settore delle costruzioni. Poter contare sull'appoggio di Andreotti, in quell'epoca, voleva dire trovarsi tutte le porte spalancate.
Di Gaetano è passata alla storia la battuta con cui si rivolgeva a Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti: "A Fra' che te serve?". Rivelando una stretta contiguità che si trasformava in favori reciproci. Aldo Moro, il leader democristiano ucciso nel 1978 dalle Brigate Rosse, nel memoriale scritto durante la prigionia sostenne che Andreotti affidò a Caltagirone stesso la scelta del successore di Giuseppe Arcaini, il direttore generale di Italcasse, la banca verso cui il gruppo edile era più indebitato. Un rapporto favorito dal "comune denominatore": Andreotti. I fratelli Vitalone, Claudio e Wilfredo, entrambi magistrati e vicini ad Andreotti, non lesinavano consigli a Caltagirone. Che ne ebbe bisogno per le sue traversie giudiziarie.

Nel 1978 fu dichiarato il fallimento delle società del gruppo e dei tre fratelli Caltagirone. Ma la Cassazione ribaltò la sentenza sostenendo che il valore degli immobili copriva i mutui concessi dalla banca. E attribuì la responsabilità a Italcasse-Iccri aprendo la strada alla richiesta di risarcimento che fruttò 500 miliardi di lire ai Caltagirone. A metà degli anni 90 il pool di Mani Pulite indagò sulla vicenda quando scoprì che tra i protagonisti figuravano gli avvocati Giuseppe Acampora e Cesare Previti e che la sezione della Corte d'appello, la prima, che riabilitò i Caltagirone era la stessa da cui aveva preso origine un altro risarcimento miliardario: quello dell'Imi alla Sir di Nino Rovelli o meglio ai suoi eredi.
Ma nulla è cambiato e i Caltagirone sono rimasti vittime della giustizia e delle banche.

Morto a Roma il costruttore Gaetano Caltagirone

 

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