Ha passato la giornata a studiare le carte dell'inchiesta, piovute sulle scrivanie di Fastweb in mole spaventosa. Stefano Parisi, amministratore delegato di Fastweb, secondo chi lo ha visto o sentito ieri, era preoccupato soprattutto per la sua società. Per quella richiesta del Gip di Roma che ha pochissimi precedenti (e non così rilevanti) nella sia pur breve storia della legge 231, entrata in vigore nel 2001: commissariare Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Una richiesta su cui il giudice dovrà pronunciarsi il prossimo 2 marzo.
«Ma come è possibile – ha reagito Parisi quando lo ha saputo –, si sta parlando di importi pari all'1% dei ricavi di Fastweb e vogliono mettere a rischio il futuro di una società quotata, con 3.500 dipendenti che diventano 8mila con l'indotto, oltre a danneggiare il nostro rapporto con 1,6 milioni di clienti?». Il suo disappunto sconfinava nella rabbia: «Essere colpiti da una sanzione cautelare significa uccidere l'impresa».
La legge 231 estende alle persone giuridiche la responsabilità per reati commessi in Italia e all'estero da persone fisiche che operano per la società. Se un amministratore commette determinati illeciti, puntualmente identificati dalla legge e tra i quali figurano l'indebita percezione di erogazioni pubbliche, la truffa ai danni dello Stato, l'ostacolo all'attività di vigilanza, la corruzione e le false comunicazioni sociali, l'impresa per cui quell'amministratore lavora è a sua volta responsabile in sede penale. Nel caso specifico Fastweb e Telecom Italia Sparkle sono accusate di associazione per delinquere transnazionale e di riciclaggio internazionale.
Parisi non si dava pace parlandone con i suoi interlocutori: «Abbiamo smesso di esercitare quel tipo di attività non appena abbiamo saputo che era sotto indagine. E adesso chiedono l'interdizione».
La giornata scorreva convulsamente. In borsa il titolo perdeva il 7,55% dopo essere sceso fino a 14,2 euro. Le notizie si susseguivano, con il mandato d'arresto per Silvio Scaglia, fondatore e tuttora consigliere di amministrazione di Fastweb, e per Mario Rossetti, ex-cfo ed ex-consigliere della società. Poi l'annuncio che tra gli indagati c'è anche Parisi con altri due dirigenti.
«E pensare che non ce ne stavamo più occupando – ha confidato Parisi –, credevamo che l'inchiesta si sarebbe conclusa con un'archiviazione». Invece ieri la bomba, con l'annuncio della "operazione broker" condotta dalla Procura distrettuale antimafia di Roma che ha allargato i confini dell'inchiesta avviata nel 2007: non solo false fatturazioni e frode fiscale, ma anche riciclaggio e violazione della legge elettorale con l'aggravante mafiosa. Quello che poteva sembrare il frutto avvelenato della pressione esercitata sulla struttura commerciale della società per aumentare ricavi e redditività si trasformava in una specie di incubo con inquietanti connessioni malavitose.
Adesso tutte le energie sono concentrate sulla scadenza del 2 marzo quando il giudice deciderà sul commissariamento di Fastweb e di Telecom Italia Sparkle. All'interno della società milanese si confida che una presunta truffa (del valore di 38 milioni) non possa essere sufficiente per arrecare un danno così grande a una delle poche realtà industriali nate ai tempi del boom della new economy e sopravvissute allo sgonfiamento della bolla.

 

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