«Non oggi o domattina, ma sulle pensioni qualcosa si deve fare. Sacconi e Tremonti hanno ragione quando dicono che non abbiamo la stessa urgenza di altri Paesi sul welfare, certo, ma questo equilibrio, magari tra dieci anni, è inevitabilmente destinato a rompersi...». Gianfranco Fini da vero "pierino" della politica italiana - il ruolo glielo consente - ridacchia e non si smentisce. Intervenendo ieri a Milano a un seminario dell'associazione Libertiamo di Benedetto Della Vedova ("Placata la bufera, torniamo al libero mercato"), il presidente della Camera ha provato ad abbozzare la rotta post elettorale di un governo, e soprattutto di un Pdl, definito letteralmente «amalgama estremamente complesso», che ha bisogno di intendersi bene su alcune questioni fondamentali, «altrimenti rischiamo di continuare ad affrontare i problemi con pigrizia oppure di non capirci.»

Dunque non solo pensioni nell'agenda finiana. Anzi. Quel che indica da mesi, mettendo spesso zeppe pesanti dentro la maggioranza, è in realtà un «esercizio di pulizia mentale» per parafrasare il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, intervenuto anche lui ieri mattina. «Dopo le elezioni regionali, infatti - ha spiegato Fini - ci sono tre anni di tempo perché il Pdl possa mettere in campo le sue proposte assumendosi la responsabilità di fare le riforme». Altrimenti sarà difficile spiegare alla gente che «con una maggioranza così ampia e un consenso che ha pochi precedenti nella storia italiana, Dc compresa, siamo ancora alle prese con la stessa agenda di problemi che ci sono da dieci, quindici anni».

Per questo sul rapporto tra politica, economia e società il confronto interno «non solo è necessario, ma indispensabile.» «Non va bene – continua il presidente della Camera - che ognuno coltivi il proprio orticello. Come confesso di non capire quando sento le polemiche tra la linea del rigore di Tremonti e quella altrettanto giusta di Draghi. Non c'è contrasto. Bisogna solo capire come far ripartire l'economia dopo l'emergenza, al netto del tampone di Tremonti, che giustamente sta facendo tagli orizzontali per evitare che la spesa vada fuori controllo.»
Fini chiama tutto questo «Riforme strutturali del sistema paese». E sul punto «il Pdl deve discutere e scegliere una linea che deve impegnare tutti», altrimenti «il rischio peggiore che possiamo correre nei prossimi tre anni è di galleggiare».


Galleggiare anzitutto sul welfare, «che da noi è basato sul valore delle garanzie. Dobbiamo invece cominciare a pensare a delle modifiche che portino a un welfare delle opportunità per i giovani, i veri soggetti deboli. Oggi sono loro a pagare le pensioni – dice Fini - ma quando diventeranno padri rischiano di dover scoprire di aver pagato molto per le generazioni precedenti e poco per loro…». Nel frattempo la flessibilità sta diventando spesso «sfruttamento legalizzato. Ti pago poco e ti mando via quando voglio.» Non è così. «Siamo passati da un eccesso all'altro: prima c'era il totem del lavoro fissso, a vita, ora rischiamo di fermarci dall'altra parte del pendolo.»

Galleggiare poi sull'eccesso di tasse e spesa pubblica. «La politica, lo stato, devono ritirarsi da spazi indebitamente occupati», snocciola Fini per la gioia dei turboliberisti in sala. «Ci sono rivoli sterminati di denaro pubblico che non producono ricchezza né garantiscono servizi.» Dunque «ridurre il fisco tagliando in modo netto la spesa si può e si deve in un paese segnato storicamente da un eccesso di statalismo e poco senso dello stato.»


E ancora, galleggiare ipocritamente sull'immigrazione, perché «il contributo dei lavoratori extracomunitari è indispensabile per pagare le pensioni dei nostri vecchi», e galleggiare sull'equivoco verbale di un federalismo che, ad oggi, «sta moltiplicando livelli di decisione e costi. Dobbiamo parlarne bene adesso che stiamo discutendo di federalismo fiscale», chiosa Fini. Non senza stoccate agli «amici» della Lega: «ad esempio sulle municipalizzate, lo dico qui dalla Lombardia, sapete bene che sono loro a non volerle aprire al mercato. E anche sull'abolizione delle province hanno cambiato idea...».


Insomma «è di queste cose che dobbiamo parlare - conclude l'ex leader di An - non della par condicio che non è certo così importante. Da noi invece si litiga su cose che in altri paesi occuperebbero al massimo una riga di giornale…».


Per il resto, secondo Giampaolo Galli il titolo del convegno è fondamentalmente un buon auscipio (a completare il panel dei lavori Antonio Martino, Luigi Zingales e Alessandro De Nicola), ma purtroppo la tempesta non è finita. «Ci sono ancora rischi finanziari, basti vedere la Grecia - spiega Galli - e poi la ricaduta sull'economia reale è davvero pesante: -6% la caduta del Pil 2009, produzione industriale che resta venti punti sotto la primavera 2008, e disoccupazione schizzata all'8,5% destinata a crescere ancora.» Il tutto in un sistema viziato da «un quadro giuridico opaco e incerto e una giustizia farraginosa. Non a caso – prosegue Galli - siamo il paese del sommerso, dell'evasione e delle norme fiscali sfuggenti cresciuto di meno, anzi, de-cresciuto nell'ultimo decennio quanto a Pil pro capite (-0,4% vs una media Ue del +0,5%)». Per chi teorizza una tenuta migliore del nostro paese dentro la grande crisi, decisamente una doccia fredda.

 

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