E adesso Pierluigi Bersani cerca un asse più forte con Gianfranco Fini. Del resto lui l'aveva detto non appena si erano chiuse le urne: «Guardate che ci saranno problemi nel Pdl e con la Lega». Una previsione azzeccata nonostante la sua analisi "minimal" sulla sconfitta del Pd su cui hanno puntato l'indice – ancora ieri – gli esponenti della minoranza e non solo. Ma è sull'ipotesi di una scissione e di gruppi parlamentari diversi che ora Bersani cerca di curvare la strategia del Pd e di piegare la Direzione del partito di sabato. Nonostante la prudenza dettata dal fatto che la rottura non si è consumata, Bersani offre già una sponda al cofondatore. Innanzitutto difendendo il suo ruolo alla Camera contro l'attacco del premier che ne chiedeva le dimissioni. «La presidenza della Camera non sia nella disponibilità di Berlusconi, almeno quella. Lo invito ad essere più prudente». E sul caos nella maggioranza cerca di ricompattare il suo Pd ma non è scontato che ci riesca. «Le destra non riesce a dirimere i suoi problemi, per questo non ha fatto niente da anni e non farà niente: dietro tutti quei voti di fiducia c'erano le divisioni profonde del centro-destra», diceva ieri cercando di trascinarsi tutto il partito.

Ma se Bersani spera di serrare le fila del Pd solo nell'attacco alla maggioranza, forse, sbaglia i conti. Perchè è vero che per il Pd – con un eventuale strappo dei finiani – si riaprono spazi politici ma è anche vero che se non concederà alla minoranza interna ci sarà uno scenario simile al Pdl. Con esponenti della minoranza che cercheranno una con il presidente Fini. È certamente solo un caso, una coincidenza ma negli stessi giorni – 8 e 9 maggio – che Franceschini e Veltroni riuniranno la minoranza a Cortona, Gianfranco Fini contemporaneamente riunirà i suoi a Perugia. E dunque se la Direzione di sabato del Pd si chiuderà con una divisione tra opposizione interna e segreteria non è escluso che la posizione di Fini alimenti le divisioni Pd anzichè sanarle. Dunque, la gestione interna per Bersani sarà più delicata. E dovrà, a maggior ragione, concedere alla minoranza una linea politica più plurale e unitaria. È questo che Dario Franceschini e Walter Veltroni gli chiederanno alla Direzione Pd: non blindarsi sulla mozione congressuale e aprire alle tesi del Lingotto che ieri sono state riproposte nella relazione di Franceschini alla riunione di Area democratica.

Ieri le voci critiche non sono state solo quelle dei veltroniani e dei franceschiniani che sono partiti all'attacco dell'analisi del voto ma anche quelle di ex popolari come Beppe Fioroni: «Oggi siamo percepiti come partito di sinistra tour court, definito più per le alleanze che fa che per i contenuti. Nel Pd c'è chi si sente figlio di un dio minore». Dario Franceschini era stato perfino più duro: «Torniamo al progetto originario: noi chiediamo una gestione unitaria che non significa sostenere chi ha vinto ma che insieme si definisce una linea che fa sintesi». Ma quello che ha più irritato Bersani è stata quell'analisi del voto: «Siamo ormai confinati alle regioni rosse», ha detto Franceschini.

«Dario mi è piaciuto molto, molto», l'ha ripetuto proprio due volte Walter Veltroni e questo lascia immaginare che Area democratica si presenterà più che battagliera all'appuntamento della Direzione. E aggueritissima a Cortona se sabato non spunterà niente. I fedelissimi di Bersani rispondono tono su tono all'opposizione dicendo che «il congresso si è ormai chiuso» ma sabato Bersani sarà più prudente. Più di ieri quando ha seccamente risposto: «Sono stupito dell'analisi del voto di Franceschini: a Nord siamo cresciuti di due punti».

 

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