Spezza subito una lancia a favore di uno dei suoi fedelissimi. «È evidente che l'onorevole Italo Bocchino sia stato dimissionato senza che ce ne fossero le ragioni, perché non mi risulta che avesse fatto male il lavoro, ha la mia solidarietà». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, risponde così a una studentessa dell'università degli studi dell'Insubria. che gli chiede se, dietro le dimissioni di Bocchino, non ci sia una mancanza di libertà di espressione. Fini accoglie la domanda, ma fa subito un distinguo. «Ieri Bocchino ha potuto esprimere la sua posizione. Attenzione a non far credere che ci sia una dittatura», ammonisce la terza carica dello Stato, «perché non corrisponde alla verità e mi riferisco al dibattito interno al Pdl.Quando si parla di dittatura, di stato di polizia, non si ha la possibilità di dirlo».

Insomma, il presidente della Camera prova a stemperare i toni dopo la giornata convulsa di ieri segnata dalle dimissioni irrevocabili di Italo Bocchino e dalle sue accuse al premier che ne avrebbe chiesto la testa. Proprio il Cavaliere, nel Consiglio dei ministri di stamane, è poi tornato sulla vicenda dei rapporti con Fini e i suoi per ribadire di non aver mai dato del «traditore» al presidente della Camera. «Non ho mai detto che Fini è un traditore né mai parlato di presunti scenari alternativi al Pdl – avrebbe detto il premier nel corso del Cdm –. Non ho più parlato del rapporto con Fini dal giorno della direzione e smentisco tutte le ricostruzioni che avete letto sui giornali».

Il Cavaliere ha chiesto quindi maggiore attenzione ai suoi sulle presenze durante i lavori in aula e in commissione. Gli ultimi ko in parlamento non sono evidentemente piaciuti a Berlusconi che ha evidenziato la necessità di alzare il livello della tensione morale e non ha escluso, per il futuro, il ricorso a sanzioni nei confronti degli assenti ingiustificati. «Non è possibile – è il ragionamento del premier – andare sotto quando il governo Prodi ha retto per 18 mesi con tre voti di scarto». Mercoledì ne sarebbero bastati due per salvare governo e maggioranza dallo scivolone sul voto al collegato lavoro. Tutta colpa di cinquanta deputati pidiellini assenti ingiustificati. Che hanno fatto saltare i nervi anche a Berlusconi.

 

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