Silvio Berlusconi non ha dubbi: il successo elettorale ha sancito il via libera alle riforme della giustizia che lui ha sempre cavalcato, più che mai nell'ultima campagna elettorale: intercettazioni, separazione delle carriere e doppio Csm, processo breve. Ma per stabilire modi e tempi dell'offensiva, il premier deve fare i conti con Umberto Bossi e Gianfranco Fini, affinché le «sue» riforme siano «condivise» almeno da tutta la maggioranza. Perciò saranno decisivi gli incontri che, da oggi a venerdì, avrà con il leader della Lega e con il presidente della Camera.

Gli appuntamenti parlamentari già in agenda riguardano le intercettazioni e l'emergenza carceri. Alla Camera ci sono i ddl del governo su «detenzione domiciliare» e «messa alla prova», destinati, secondo i calcoli del ministro della Giustizia Angelino Alfano, ad alleggerire le carceri sovraffollate di 7mila detenuti. Una boccata d'ossigeno piccola, ma essenziale, sempre che la Lega - temono in casa Pdl - non si metta di traverso. Al Senato, invece, comincia l'esame degli emendamenti al ddl intercettazioni. Il premier insiste per la «mano pesante», ma leghisti ed ex aennini hanno opinioni diverse. In alcuni casi sono sfumature, in altri, vere e proprie divergenze.

La presunta «apertura» di Alfano sugli «evidenti indizi di colpevolezza» (richiesti, al posto degli attuali «gravi indizi di reato», per far scattare gli ascolti) è considerata un «bluff», se non una «truffa», da finiani e leghisti: il nodo non è nell'aggettivo «evidenti» (che Alfano si dice disponibile a eliminare) ma nel sostantivo «colpevolezza», come ha osservato anche il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, ricordando il parere critico espresso a giugno dal Consiglio, con tanto di allarme per le indagini, comprese quelle di mafia. Allarme e critiche condivise dal Capo dello Stato, che consigliò ad Alfano un «serio» approfondimento del testo.

«Il problema è politico - osserva il relatore Roberto Centaro, Pdl -: o nella maggioranza si trova un accordo su questa e altre modifiche, che garantisca un'approvazione rapida alla Camera, oppure il ddl passa al Senato così com'è, salvo approvare poi un decreto legge correttivo». Una soluzione che dovrà fare i conti con il Colle. Dal quale, nei prossimi giorni, è attesa la decisione sul «legittimo impedimento». Nel Pdl c'è chi ipotizza un rinvio della legge alle Camere «con osservazioni», ma l'ipotesi non viene drammatizzata perché, si fa osservare, «nel giro di venti giorni il testo verrebbe riapprovato e il Capo dello Stato sarebbe costretto a firmarlo». A quel punto, con la prospettiva di un anno e mezzo di "tregua" nei processi in cui il premier è imputato, la maggioranza deciderà modi e tempi delle riforme, comprese quelle, in cantiere, sulla separazione delle carriere e sul Csm.
(D. St.)

 

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