A distanza di una settimana dal voto regionale si può tentare un bilancio più ragionato di queste elezioni. Il dato più importante è certamente quello delle regioni vinte o perse. Ma quel 7 a 6 su cui tanto si è discusso da una parte e dall'altra serve a poco se si vogliono cogliere le tendenze di fondo dell'elettorato italiano. Pochi voti in più o in meno in Piemonte o in Lazio a favore del centrosinistra avrebbe cambiato completamente la valutazione del risultato complessivo ma non avrebbero modificato l'analisi delle tendenze elettorali. Per procedere faremo riferimento non alle regionali del 2005 che appartengono ad una altra era della politica italiana ma alle politiche del 2008 e soprattutto alle europee del 2009.

Astensionismo contro tutti
Per la prima volta in elezioni di carattere nazionale i votanti sono stati meno del 70%. Rispetto alle regionali del 2005 il calo è stato di 7,9 punti percentuali. Una diminuzione simile si era registrata solo tra il 2000 e il 1995. L'astensionismo è cresciuto di più nelle regioni del Nord e del Centro. La tendenza durava da tempo e ora si è arrivati al punto che su questo piano l'Italia politica si è unificata. Disaffezione e protesta tengono lontani dalle urne sempre più elettori settentrionali, il voto di preferenza continua a alimentare la partecipazione al voto degli elettori meridionali. È un segno dei tempi che in Liguria si sia votato meno che in Campania.

Pdl e Pd: meno tre milioni
Rispetto alle europee dell'anno scorso Pdl e Pd hanno avuto rendimenti diversi. Per rendere il calcolo più realistico abbiamo sommato ai voti dei due partiti anche quelli delle liste dei rispettivi candidati presidente con le sole eccezioni delle liste di Vendola e della Bonino In valore assoluto entrambi i partiti hanno perso voti ma il partito di Berlusconi ne ha persi più di due milioni (circa il 23% del suo elettorato 2009) contro i meno di ottocentomila del Pd (l'11%). Il primo passa dal 35,3% delle europee al 31,4% delle regionali, mentre il secondo guadagna poco meno di un punto percentuale. Nonostante gli sforzi di Berlusconi il Pdl conferma la persistente difficoltà a mobilitare i suoi elettori in consultazioni diverse dalle politiche. Per il Pd di Bersani non è stata una prova negativa, ma il 26,1% di oggi resta molto lontano dal 34,1% delle politiche del 2008. Oggi i due partiti maggiori sono divisi da quattro punti percentuali. Nel 2008 erano 1,5 ma l'anno scorso erano saliti a 8,7. Il divario si è dimezzato ma questo non è bastato a rendere più competitivo il centrosinistra in quelle regioni dove la gara era incerta.

Gap tra i poli fermo al 5%
Nonostante la crescita dell'astensionismo e il diverso andamento di Pdl e Pd il rapporto tra i due schieramenti non è sostanzialmente cambiato tra le politiche del 2008 e le regionali di questo anno. Il centrodestra con il suo 48,3% di voti resta maggioritario avendo ottenuto sostanzialmente lo stesso risultato delle europee e poco più di un punto in meno rispetto alle politiche. Stabile anche il centrosinistra che aveva preso lo scorso anno il 43,6% contro il 43,3% di oggi. Per essere precisi il divario tra i due schieramenti è aumentato di qualcosa a favore del centrodestra ma si tratta di un dato insignificante. Quello che conta è che il miglior rendimento relativo del Pd in queste elezioni rispetto al Pdl non ha modificato la competitività del centrosinistra. Anche l'inclusione dell'Udc non ha portato i risultati sperati. In Piemonte la Bresso ha perso nonostante il sostegno del partito di Casini. Dopo la fase veltroniana della "vocazione maggioritaria" il Pd è tornato con queste elezioni alla pratica delle grandi coalizioni di prodiana memoria ma nelle due regioni dove si giocava veramente la partita, Piemonte e Lazio, le "unioni" della Bresso e della Bonino non sono servite a vincere Vendola ha vinto in Puglia ma lì c'era una destra divisa. La vittoria delle grandi coalizioni nelle regioni della ex zona rossa non sono una prova della bontà di questa strategia.

La Lega Nord
Il partito di Bossi è il vero vincitore di queste elezioni. Ma nemmeno il Carroccio è riuscito ad evitare i contraccolpi dell'astensionismo. Sono circa 177.000 i voti che ha perso rispetto alle europee anche se poi in termini percentuali è passato dall'11,3% al 12,3%. Sono percentuali importanti e le più alte mai ottenute. Ma si deve ricordare che la Lega lombarda nel 1992 e la Lega Nord nel 1996 avevano molti più consensi. Tra le tre grandi regioni del Nord solo in Veneto il Carroccio è riuscito ad aumentare i voti (+21.493) mentre in Lombardia ne ha persi più di 100.000 e in Piemonte quasi 60.000. È andata invece bene nelle Marche, in Toscana e in Emilia e Romagna ma i numeri sono modesti anche se il significato politico di questa crescita non lo è. Il segreto del successo della Lega in queste elezioni non sta nell'allargamento della sua base elettorale ma nella sua capacità di portare alle urne i suoi elettori. Oggi non ci sono più leghisti di ieri ma ci sono molti meno elettori degli altri partiti. In questo hanno certamente giocato un ruolo importante le candidature di Cota e di Zaia che hanno dato credibilità, visibilità e entusiasmo. Fatti bene i conti non si può nemmeno dire che il Carroccio abbia preso voti al Pdl. È certamente possibile che qualche elettore moderato deluso dal partito del Cavaliere abbia votato Lega ma la maggior parte dei voti che mancano a Berlusconi non sono andati lì ma direttamente all'astensione. Nella sostanza la differenza tra Lega e Pdl l'ha fatta il diverso tasso di fedeltà dei due elettorati.

L'Udc convince a destra
Per il partito di Casini queste elezioni rappresentavano un test importante della strategia di alleanze a tutto campo. Infatti in quattro regioni l'Udc era alleata con il centrosinistra, in tre con il centrodestra e in sei stava per conto suo. Complessivamente in termini percentuali non perde molto rispetto al 2008, meno di un punto, ma in valori assoluti si tratta di 365.000 elettori, vale a dire quasi il 23% del suo elettorato del 2009. La stessa percentuale del Pdl e molto più del Pd. Ma le perdite non sono distribuite uniformemente. Nelle regioni in cui era alleata con il centrosinistra il suo risultato è peggiore rispetto alle regioni in cui era alleata con il centrodestra. Il caso del Piemonte è il più significativo dato che perde più di due punti percentuali passando dal 6,1% del 2009 al 3,9%. Invece in Lazio, Campania e Calabria- le tre regioni in cui era alleata con il centrodestra- le sue percentuali sono tutte superiori a quelle del 2009. Forse c'entra il fatto che queste sono regioni meridionali mentre le altre no. In ogni caso un bel dilemma per Casini.

Idv, sinistra e gli altri
Il movimento di Grillo è stata la vera sorpresa di queste elezioni. Il suo 1,7% è la stessa percentuale della Destra di Storace. Si starà a vedere se crescerà e a spese di chi. Per ora si può dire che molto probabilmente ha portato via voti a Di Pietro. L'Idv non è andata male anche se il suo elettorato si è dimostrato poco fedele. Ha perso circa mezzo milioni di voti, il 23% rispetto alle europee ma in percentuale ha tenuto. Lo stesso dicasi della Sinistra. Insieme Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi sono passati dal 6,7% del 2009 al 6,4% di oggi. Non è molto ma è molto di più del 3,1% delle politiche del 2008. Complessivamente Idv, Sinistra e Grillo fanno il 15,1%. Sono voti di cui il Pd non può fare a meno ma non sarà facile sommarli in un progetto di alternativa credibile.

Un quadro statico
Tanto rumore per nulla? In fondo queste elezioni ci restituiscono un quadro con molte conferme e poche novità quanto alla tendenze elettorali di medio periodo dell'elettorato italiano. Nonostante le difficoltà economiche e non il centrodestra rimane a livello nazionale lo schieramento di maggioranza relativa. Il centrosinistra non è riuscito ad approfittare di questa occasione per mettere in crisi il governo come invece è riuscita a fare la sinistra francese. Anche la distribuzione territoriale del voto non è cambiata. Per il Pdl il problema restano le regioni della ex zona rossa. Per il Pd quelle del Nord est dove la sua capacità di competere continua ad essere inesistente nonostante qualche sporadico successo qua e là (vedi Venezia). Da qui al 2013 tutto può succedere, ma se il centrosinistra non riuscirà a costruire una vera alternativa al posto di una somma eterogenea di partiti il copione è già scritto.

 

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