Quasi 133 miliardi di euro. Tanto ci vorrebbe per assicurare il passaggio al federalismo nelle materie core (sanità, istruzione e assistenza sociale) se ancora si ragionasse in termini di spesa storica. Almeno stando ai dati contenuti nei bilanci regionali 2008, raccolti dalla commissione tecnica paritetica per il federalismo (Copaff) guidata da Luca Antonini che li ha depositati in parlamento. Ora toccherà ai costi standard riuscire a diminuire l'esborso.


I dati
Si tratta di numeri imponenti. Non tanto per le dimensioni (circa 2.000 pagine solo per le regioni) quanto per i contenuti. Innanzitutto, perché tutte le cifre sono state inviate secondo un unico un schema comune di contabilità e riclassificate per funzione; in secondo luogo, perché costituiranno la base per le simulazioni dei vari gruppi di lavoro che compongono la Copaff e per la relazione che il governo presenterà alle camere entro il 30 giugno e che permetterà di capire quanto varranno le poste più importanti del federalismo fiscale (autonomia tributaria di regioni ed enti locali, costi standard, perequazione). E, dunque, per stabilire se la riforma sarà a costo zero, come sostengono da mesi la Lega e una parte del Pdl e del Pd, oppure no, come temono i centristi e i finiani.


La "forbice"
Il primo elemento che balza agli occhi è che, anziché convergere, entrate e uscite regionali restano a debita distanza. Sia nei territori a statuto ordinario che in quelli speciali. Tant'è che gli impegni di spesa complessivi salgono dai 219,8 miliardi di euro del 2006 ai 249,3 del 2008 con un aumento del 13,4 per cento. Una crescita dovuta soprattutto al boom della spesa corrente (+19,4%). Anche se anziché sugli impegni di spesa ci si concentra sui pagamenti il quadro non muta poiché dai 203,3 miliardi di quattro anni fa si arriva ai 246,2 di due anni dopo. Un trend che neanche l'aumento registrato nello stesso periodo dalle entrate – cresciute in 24 mesi da 204,3 a 234,1 miliardi di euro – riesce a sterilizzare.


Le voci di spesa
Come prevedibile la voce più "pesante" resta la sanità: 125 miliardi di euro nel 2008, di cui oltre 110 di parte corrente. Laddove due anni prima tali valori erano fermi, rispettivamente, a 97,5 e 86,5 miliardi di euro. Ciò significa che gli impegni di spesa legati alla tutela della salute e al funzionamento delle sue strutture nel 2006 assorbivano il 69,2% delle spese correnti e due anni dopo il 73,3 per cento. Altre conferme emergono dalla ripartizione territoriale con il Lazio che, nel 2008, vale da solo il 13,8% del bilancio sanitario nazionale. Che diventano il 27,6% se s'includono le altre regioni commissariate (Campania e Molise perché per l'Abruzzo mancano i dati, ndr) o commissariabili (Calabria) per i conti in "rosso".


Il budget
I dati citati testimoniano che proprio sulla sanità si giocherà la partita decisiva del federalismo fiscale. Se aggiungiamo le altre due materie – istruzione e assistenza sociale – che andranno finanziate e perequate (nel caso dei territori in ritardo) al 100%, emerge la dimensione della "torta" che la riforma dovrà assicurare: circa 132,8 miliardi di euro, pari al 53,2% delle uscite complessive. Una quota che supera il 77% se ci si limita alle spese correnti. Ebbene, questo sarebbe il budget necessario all'attuazione minima della riforma se si ragionasse ancora in termini di spesa storica. Ma che ora potrà diminuire quanto più risparmi il passaggio ai costi standard sarà in grado di assicurare. Fermo restando che al di sotto di una determinata soglia non si potrà comunque scendere visto che in ogni regione andranno garantiti i livelli essenziali delle prestazioni fissati per legge.
Di conseguenza, per non sforare, i governatori dovranno tirare la cinghia negli altri campi, che potranno ripararsi solo parzialmente sotto l'ombrello della perequazione. Un menù ricco. Non solo perché, stando ai numeri 2008, vale circa 117 miliardi di euro ma anche perché conta settori cruciali per il rilancio dei singoli territori: dall'ambiente allo sviluppo economico, dal lavoro al turismo, fino ai beni culturali.

 

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