La decisione del ministro della giustizia brasiliano Tarso Genro che attribuisce a Cesare Battisti la qualità di rifugiato ai sensi della legge brasiliana di attuazione della convenzione internazionale sullo statuto dei rifugiati del 28 luglio 1951, modificata nel 1967, lungi dal chiudere la questione dell'estradizione, come si vorrebbe il Brasile, apre delicati problemi giuridici. Essa offre infatti un'interpretazione estensiva della convenzione del 1951, tanto da essere basata non sull'accertamento di un timore reale di persecuzione, ma semplicemente sulla considerazione che "sussistono dubbi ragionevoli sui fatti che, secondo il ricorrente, sono alla base del suo timore di persecuzione". La convenzione pone d'altra parte requisiti minimi per l'attribuzione dello statuto di rifugiato e non impedisce che uno stato contraente accolga sul suo territorio come rifugiati anche altre persone, sulla base di un accertamento meno rigoroso della fondatezza del timore di persecuzione fatto valere dalla persona interessata.

Ma questa libertà di apprezzamento è limitata quando esista un altro trattato che richieda un accertamento più rigoroso, imponendo in sua assenza l'obbligo di estradizione verso un altro paese. Tale è appunto il caso del trattato bilaterale di estradizione concluso fra l'Italia e il Brasile il 17 ottobre 1989 ed entrato in vigore nel 1993, nel quale l'estradizione, ai sensi dell'art. 3 lett. f, può essere rifiutata solo se lo stato richiesto "ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori". La norma implica un giudizio non di semplice possibilità ma almeno di probabilità di persecuzione. Il coordinamento degli obblighi internazionali gravanti sul Brasile in base alla convenzione multilaterale del 1951 e al trattato bilaterale del 1989 richiedeva di evitare un'interpretazione estensiva della prima per non violare il secondo. Alla luce di questo – del quale evita persino di menzionare l'esistenza! – la decisione del ministro brasiliano avrebbe dovuto negare l'attribuzione della qualità di rifugiato oltre i requisiti minimi previsti dalla convenzione, che richiedono l'accertamento di un timore reale di persecuzione, del tutto infondato nella specie. Essa è pertanto giuridicamente viziata e in violazione di un preciso obbligo internazionale.

* Professore di diritto internazionale nell'Università di Milano

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