Il Libano sta finalmente per avere un governo: lo guiderà il sunnita Saad Hariri. Sarà di unità nazionale: dunque con Hezbollah. Avrà 30 ministri e un mare di vice: troppi per quattro milioni di cittadini ma una necessità per rappresentare tutte le 17 confessioni. Due ministri saranno donne: un avvenimento anche per il più laico dei paesi arabi. E soprattutto è un esecutivo che poteva essere fatto cinque mesi fa, il giorno dopo le elezioni di giugno, senza perdere tutto questo tempo.
La formula risolutiva si chiama "15-10-5": i primi saranno i dicasteri affidati alla maggioranza moderata sunnita-cristiano-drusa che aveva vinto le elezioni; dieci quelli dell'opposizione più radicale sciita-cristiana; gli ultimi i cinque ministri nominati da Michel Suleiman, il presidente della repubblica. Dovrebbero essere i super partes necessari per impedire che l'opposizione abbia gli stessi numeri della maggioranza e per salvare il senso delle elezioni, dove i moderati avevano vinto. Il problema o la salvezza della democrazia libanese è che chiunque può vincere una sfida elettorale ma nessuno deve perdere. È l'unica formula per impedire che il mosaico settario faccia esplodere il paese in una guerra civile.
Per realtà politica, se non per matematica costituzionale, l'opposizione, cioè Hezbollah, avrà comunque il diritto di veto su ogni legge. Potrà garantire che non vengano prese iniziative per smantellare la sua milizia privata che è più armata e meglio addestrata dell'esercito nazionale. Per conto dei siriani, che ne sono coinvolti, impedirà ogni altro passo avanti dell'inchiesta sull'omicidio di Rafik Hariri, l'ex premier padre di Saad, ucciso il giorno di San Valentino del 2005. Per avere finalmente il suo governo e garantire la stabilità necessaria, il giovane Saad Hariri e i sauditi, che lo sponsorizzano con la stessa munificenza usata per il padre, dovranno rinunciare ad avere giustizia.
I contendenti l'hanno sempre saputo: non è per questo che ci sono voluti cinque mesi. Il ritardo ha due cause: la meno importante è la lotta per i ministeri, le poltrone per i boss tribali e le pretese di Michel Aoun, il piccolo Napoleone libanese, capo del maggiore partito cristiano, alleato di Hezbollah. La più importante è una ragione esterna ai confini libanesi: l'Arabia Saudita, l'Egitto, la Siria, l'Iran e, per riflesso geopolitico, Israele.
Gli accordi fra libanesi erano impossibili perché quest'estate l'Arabia Saudita (il protettore dei moderati libanesi) e la Siria (dei radicali), non andavano d'accordo. Un mese fa avevano finalmente fatto pace. Ma era l'Iran che non era convinto: l'accordo politico a Beirut avrebbe garantito Hezbollah, avrebbe permesso all'Iran di rifornire di armi e denaro i suoi importanti clientes locali? Giusto qualche giorno fa gli israeliani hanno fermato una nave con un carico di armi presumibilmente iraniane per Hezbollah. È stato il ministro degli Esteri siriano, Walid Muallem, ad andare a Teheran e convincere gli alleati che a Beirut tutto sarebbe cambiato affinché non cambiasse nulla.
Così il presidente della repubblica sceglierà i due ministeri strategici della Difesa e dell'Interno. Michel Aoun avrà le Telecomunicazioni: non meno decisive perché ci sono da fare importanti privatizzazioni e soprattutto perché in mani amiche il ministero lascerà a Hezbollah il controllo della sua rete parallela e segreta di comunicazioni.
Ai fondamentalisti sciiti non importa avere un dicastero specifico. Potrebbero anche decidere di non averne alcuno: a loro basta esserci e ci saranno. Il presidente del Parlamento Nabih Berri, capo di Amal, l'altro partito sciita di opposizione, sceglierà il ministro degli Esteri che certamente non sarà ostile a Hezbollah. Saad Hariri, resistendo almeno in questo ai no dell'opposizione, ha scelto come ministro delle Finanze Raya Hassan, studi economici alla George Washington University, manager dell'Undp, l'ente per lo sviluppo dell'Onu. L'altra donna dell'esecutivo è Nada Mfarrji, ministro dell'Energia. Forse con qualche piccolo cambiamento dell'ultimo istante, il governo sarà presentato domani.
Il vero vincitore della partita libanese è Bashar Assad, il presidente siriano. In settimana andrà da Nicolas Sarkozy: al paese occidentale più interessato al Libano offrirà il tanto atteso governo. In cambio, una volta di più, anche per conto degli americani la Francia concederà alla Siria il diritto di ritenersi il protettore del Libano. Poi incomincerà il lento cammino verso la prossima crisi.

I PROTAGONISTI
Alleati per forza
Saad Hariri (nella foto sopra), 39 anni, figlio dell'ex premier Rafik Hariri, ucciso a Beirut nel 2005, è il leader dell'Alleanza moderata e filoccidentale "14 marzo", vincitrice delle elezioni del 7 giugno scorso con undici seggi di margine. Per poter governare Hariri ha dovuto cercare un accordo con l'opposizione filorisiana (sotto accusa per l'omicidio di Hariri padre), che vede alleati i cristiani di Michel Aoun e il movimento sciita di Hezbollah del leader Hassan Nasrallah (nella foto sotto), che manterrà diritto di veto e un'influenza decisiva nella vita politica del paese

Ugo Tramballi
 

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