NEW DELHI – A conferma che le elezioni in programma entro fine anno saranno un'operazione puramente di facciata, il regime birmano ha pubblicato mercoledì nuovi dettagli di una legge elettorale da cui si evince che il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi non potrà candidarsi. In base alle nuove regole, gli unici partiti autorizzati a partecipare saranno quelli che avranno preventivamente espulso i propri membri attualmente detenuti e che si saranno impegnati per iscritto a rispettare la costituzione stilata dalla giunta militare nel 2008.

Aung San Suu Kyi si trova agli arresti domiciliari dopo essere stata condannata lo scorso anno a 18 mesi di reclusione in un processo definito farsesco dalla comunità diplomatica internazionale, mentre il suo partito, la National League for Democracy (Nld), ha sempre respinto la nuova carta costituzionale, bollandola come un tentativo del regime di consolidare il proprio potere.

"Troviamo che alcuni dei provvedimenti contenuti in questa legge siano molto disonesti e completamente inaccettabili", spiega il portavoce della Nld Nyan Win. "Siamo convinti – prosegue – che questo regolamento non contribuirà a dare inizio a un processo di riconciliazione del paese". Circa la possibilità che il partito fondato dalla leader democratica nel 1988 possa registrarsi per il voto, sottoscrivendo così la nuova legge elettorale, Win ha detto che "è completamente impossibile".

Per il momento non è ancora stata fissata una data per le consultazioni e i dettagli circa le nuove regole stanno venendo pubblicati a puntate sulla stampa di stato. Martedì, per esempio, è stata annunciata la nascita della Union Election Commission, un organo che dovrà vigilare sui partiti, organizzare le elezioni ed eventualmente invalidarle in quelle regioni in cui "disastri naturali o ragioni di sicurezza" impedissero lo svolgimento delle operazioni di voto. Un modo, forse, per prevenire boicottaggi e incidenti nelle aree del paese attualmente sotto il controllo dei gruppi separatisti.

L'ultima volta che Myanmar è andata alle urne era il 1990 e la trionfatrice del voto fu proprio Aung San Suu Kyi, figlia di uno dei protagonisti della lotta per l'indipendenza dai britannici e fondatrice della Nld, un partito nato dalle ceneri di un movimento di protesta contro l'attuale regime. In quell'occasione le elezioni vennero invalidate e per la futura premio Nobel per la pace iniziò il calvario giudiziario che l'avrebbe vista trascorrere 14 dei 20 anni successivi agli arresti, per lo più nella sua abitazione.

L'ultima condanna risale allo scorso anno quando, a poche settimane dalla data prevista per la sua liberazione, la leader democratica è stata processata per non avere respinto un squilibrato di nazionalità americana giunto a nuoto nel suo decrepito Bungalow di Yangon.

La ex Birmania, un tempo una delle nazioni più ricche dell'Asia e oggi una delle meno sviluppate, si appresta ad andare al voto in un clima di forte tensione. Non solo perché la figura politica più popolare del paese non potrà condidarsi, ma anche perché il quadro economico nelle ultime settimane ha dato segni di deterioramento. Negli ultimi giorni in particolare la ex capitale Yangon è stata colpita da una serie di scioperi nel settore tessile, uno di quelli colpiti più duramente dalle sanzioni occidentali, con cui migliaia di lavoratori stanno chiedendo con forza migliori condizioni di lavoro. Secondo quanto riportano le agenzie di stampa le fabbriche sono state circondate dalle forze di sicurezza.

La giunta militare che governa il paese dal 1962 starebbe osservando con apprensione le proteste perché due anni fa una serie di marce contro l'aumento dei prezzi del carburante si trasformarono rapidamente in manifestazioni contro il regime e la sua incapacità di offrire condizioni di vita accettabili alla stragrande maggioranza della popolazione.

 

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