È un Big-Bang in miniatura quello che i fisici del Cern hanno riprodotto nell'Lhc, il più grande acceleratore di particelle mai costruito dall'uomo che corre a 100 metri di profondità sotto il confine franco-svizzero alle porte di Ginevra. I due raggi di protoni ad altissima velocità che giravano da alcune settimane nell'anello di 27 chilometri e mantenuto a – 271°C sono stati fatti finalmente scontrare all'energia record di 7 TeV (trilioni di elettron Volt), in un evento mai osservato prima in nessun laboratorio. Il record è arrivato dopo una mattinata piena di nervosismo per i due primi tentativi di collisioni tra i fasci andati a vuoto, prima per un salto di corrente, poi per l'attivazione del nuovo sistema di sicurezza. Alle 13.06 i due fasci di protoni sparati ognuno a 3,5 TeV si sono finalmente scontrati producendo una serie inedita di prodotti di collisione, dei veri e propri "fuochi artifciali" che hanno lasciato a bocca aperta i ricercatori.

"Quando abbiamo visto le prime collisioni – spiega Fabiola Gianotti, responsabile dell'esperimento Atlas, uno dei quattro rivelatori collocati lungo l'anello di Lhc - è stato immediatamente chiaro che ci stavamo confrontando con livelli di energia mai visti prima". Lhc, la cui costruzione è stata avviata nel 1991 ed è costato oltre otto miliardi di euro, con l'esperimento di oggi ha suprarto di oltre tre volte la potenza del Tevatron, l'acceleratore statunitense che raggiunge appena i 2 TeV. Il compito dei fisici, che con questi esperimenti mirano a riprodurre le prime fasi dell'Universo e ad aprire le porte a una nuova fisica, va detto subito che non era semplice. "A queste energie – spiega Steve Myers, direttore degli acceleratori e della tecnologia del Cern – allineare due fasci di protoni è come far scontrare due aghi sparandoli dalle sponde opposte dell'Altantico".

Nelle prossime settimane sono attesi i primi dati che potrebbero portare alla scoperta di nuove particelle, ma intanto è già scongiurato il tanto mediatizzato pericolo di buchi neri. Secondo i ricercatori dell'Accademia delle scienze russa, del Cern e dell'Università della California che hanno esaminato la questione, dei buchi neri sarebbero effetivamente possibili, ma certamente talmente piccoli e poco potenti da non presentare alcun rischio né per i ricercatori, né per il territorio circostante.

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