DETROIT - «Grown in Detroit», coltivato a Detroit. Questo marchio per carote e lattuga sostituirà un made in Detroit che per le automobili è ormai fuori moda? Mentre General Motors e Chrysler, uscite in tempi record dalla bancarotta, stanno faticosamente cercando di risollevarsi, qualcuno ha cominciato a pensare a un futuro diverso per Motown. C'è chi vuol farla diventare una nuova Hollywood, con robusti incentivi al cinema, e chi ha un'idea ancor più originale: tornare all'agricoltura.
La proposta parte da una considerazione urbanistica che balza agli occhi appena si arriva in città: lo spopolamento e la perdurante recessione hanno trasformato Detroit in una vera e propria prateria urbana, con interi isolati riconquistati dalla vegetazione. Una sorta di «Via Gluck» di Celentano percorsa all'incontrario: dove un tempo c'erano file di casette unifamiliari ora ci sono prati selvatici interrotti da rare (e per lo più cadenti) abitazioni. Intendiamoci: gli Stati Uniti sono abituati ad abbattere senza scrupoli ciò che è invecchiato e non serve più. Tutte le grandi città hanno fette di degrado. Quello che rende Detroit diversa è la scala: in un'area di 359 chilometri quadrati, superiore a quella di Boston, San Francisco e Manhattan messe una a fianco all'altra, la (ex) metropoli ospita circa 800mila abitanti contro i quasi 3 milioni delle tre città citate.
Il centro economico e storico di Detroit è in riva all'omonimo fiume. È qui che ai primi del '700 il signore di Cadillac creò il primo fortino francese per difendersi dagli inglesi; ed è qui che vent'anni fa sorse il Renaissance Center, il grattacielo a cinque torri che ospita il quartier generale della General Motors. Basta però fare quattro o cinque isolati in qualsiasi direzione, e si incontrano i primi vuoti. Per arrivare all'area chiamata New Center, attorno all'università Wayne State, si attraversano 5 chilometri di cui almeno un paio quasi disabitati; lo stesso vale nelle altre direzioni. La colpa, da un certo punto di vista, è di Henry Ford. La sua politica della giornata lavorativa da 5 dollari, infatti, permise a molti dei lavoratori di comprarsi non solo l'auto, ma anche la casa; fin dal periodo tra le due guerre, dunque, Detroit assunse una struttura più all'inglese (quartieri di casette basse) rispetto ad altre città americane. Una caratteristica che si è però rivelata un boomerang: lo spopolamento ha portato alla desertificazione urbana.
Ecco dunque la provocazione, formulata un anno fa dall'Istituto americano degli architetti, per una Detroit «più snella e più verde». Lo studio inizia con l'ipotizzare che alla fine dell'attuale fase di rimpicciolimento l'ex metropoli – che con quasi due milioni di abitanti era arrivata nel primo dopoguerra ad essere la quarta città degli Stati Uniti – possa stabilizzarsi a quota 500-600mila. Per ospitarli basterebbero 50-60 miglia quadrate su 138, e ne resterebbero 80 per altri usi. Secondo il rapporto, Detroit dovrebbe mantenere solo il centro nella sua accezione più ridotta con una serie di quartieri satellite, definiti «quartieri pedonali»; una struttura più "a misura d'uomo" e alla quale è più facile fornire servizi. Le aree intermedie potrebbero essere risistemate a verde – un'opzione che costerebbe alla collettività – o lasciate all'agricoltura. Non i semplici orti individuali che troviamo anche nelle nostre città, ma coltivazioni destinate alla vendita. L'ipotesi è di utilizzare 10mila acri di terra che «potrebbero ospitare centinaia di fattorie e creare migliaia di posti di lavoro». L'obiettivo finale? Far diventare Detroit la prima città al mondo completamente autosufficiente dal punto di vista alimentare.
Il progetto sembra velleitario, ma c'è chi ci sta lavorando. John Hantz, per esempio, ha creato una società – la Hantz Farms – con l'obiettivo di creare in città «la più grande fattoria urbana al mondo». Il progetto, trasformare 2mila ettari di terra in nuclei da 120 ettari l'uno, è sulla scrivania del sindaco Dave Bing, l'ex stella del basket dei Detroit Pistons ed ex businessman che si è convertito all'immane compito di tentare di salvare la città. Dall'operazione potrebbero venire dei vantaggi per le casse comunali: da un lato, le nuove attività farebbero affluire più tasse degli isolati vuoti; dall'altro, il Comune potrebbe ridurre la fornitura di certi servizi (per esempio, la raccolta rifiuti) in aree non più urbanizzate ma tornate verdi.
La "rivoluzione verde" presenterebbe numerose altre ricadute positive. L'autosufficienza alimentare porterebbe alla creazione di posti di lavoro in una città che ne ha disperatamente bisogno. Indirettamente contribuirebbe poi al miglioramento della dieta locale; secondo un recente studio, infatti, Detroit è un vero e proprio food desert: oltre metà degli abitanti deve acquistare il cibo nei drugstore, nelle pompe di benzina o in un ristorante fast food, perché non ci sono supermercati alimentari entro i confini comunali – e la scarsa qualità del cibo "costa" in media quasi un anno di vita. Malik Yakini, uno dei leader della comunità nera (85% della popolazione di Detroit), parla di «giustizia alimentare»: «Stiamo cercando di creare un modello economico per dimostrare come l'agricoltura possa contribuire al rilancio della città», spiega.
Quanto è realizzabile il sogno? I problemi non mancano. Quello delle poche case ancora in piedi nelle aree "agricole" è il minore: il prezzo medio di vendita delle abitazioni a Detroit è precipitato a fine 2008 a 7.500 dollari (per la casa intera, non al metro quadro). Più difficile è accertare se un secolo di uso urbano abbia lasciato terreni inquinati oltre i limiti tollerabili. Non solo. Un manager di Detroit scherzava di recente: «Non sarebbe possibile coltivare nulla, lo porterebbero via prima che maturi». Un cinismo purtroppo giustificato, in una città con un tasso di disoccupazione del 28% e un omicidio al giorno. Nel frattempo, però, il sabato mattina il mercato alimentare nell'East side è già animato come quelli delle nostre città – e si vendono già verdure coltivate in loco, per ora in piccoli orti e serre individuali. Tra l'agricoltura "industriale" della Hantz Farms e quella degli orti di quartiere, forse quella verde è proprio l'ultima speranza di Detroit.

andrea.malan@ilsole24ore.com

 

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