«Opacity on public policy means no public policy». Per il gestore di un importante hedge fund americano, il vero problema della Grecia e soprattutto dell'eurozona si può riassumere così: l'opacità sulle politiche di intervento pubblico nasconde l'assenza di vere politiche di intervento pubblico. Si tratta di una battuta, ma il messaggio dei mercati è chiarissimo: l'impennata dei tassi sui titoli di stato della Grecia, la paura di un crollo dell'intero sistema bancario ellenico e la caduta costante dell'euro sui mercati valutari sono il risultato inevitabile di una gestione europea della crisi assai poco convincente. A due settimane dall'annuncio dell'accordo Europa-Fmi per salvare la Grecia non si è ancora visto un piano concreto di aiuti, nessuno ha spiegato come si dovrebbe concretizzare l'intervento, quali paesi dovrebbero intervenire a fianco del Fondo monetario e in quale misura.

In questa situazione, neppure l'ipotesi che la Grecia emetta un bond in dollari è bastata per placare la tensione: la percezione diffusa nella comunità finanziaria internazionale è che l'opacità del piano di salvataggio e le divergenze politiche dell'eurozona possano ostacolare una rapida erogazione degli aiuti ad Atene, a danno della Grecia e della credibilità dell'Unione monetaria.
Che cosa vuole, dunque, il mercato? La risposta più semplice è che cali il sipario sulla commedia del piano di salvataggio: se davvero c'è un accordo sugli aiuti, che la Grecia lo chiami subito, dissipando così l'impressione di un grande «bluff» ai danni del mercato. Contare sulla benevolenza degli investitori è ormai un'illusione: il balzo dei tassi sui titoli decennali greci fino al 7,49% toccato ieri (un livello che non si vedeva dal 1998) dice chiaramente che i costi di indebitamento di Atene sono e resteranno proibitivi, aumentando le possibilità di un default. Ieri il Governatore della Bce Trichet ha escluso una tale eventualità, contribuendo così a limitare il crollo della Borse e la caduta di Atene dalla rupe dei mercati, ma per gli investitori - e soprattutto per i grandi speculatori internazionali - domani è sempre un altro giorno: o la Grecia chiede subito gli aiuti - e le condizioni proibitive dei mercati le danno la possibilità di farlo - o la tempesta finanziaria diventerà sempre più forte e contagiosa.

I segnali che la Grecia sia a fine corsa, del resto, hanno passato ormai il livello di guardia e il mercato del debito sovrano è chiaramente in mano alla grande speculazione internazionale: ciò che dovrebbe preoccupare di più, infatti, non è la corsa dei tassi a lungo termine, ma quella dei rendimenti dei titoli di stato a breve (sei mesi e due anni) e soprattutto la volatilità dei prezzi. I bond greci a due anni sono saliti di oltre due punti percentuali in appena due giorni fino al 7,68%, cioè il 6,78% in più rispetto al debito tedesco. Non solo. Già mercoledì, i titoli di Stato con scadenza equivalente a circa sei mesi sono saliti fino a 6,4%, secondo le stime della Rbs Research, arrivando a un rendimento pari al doppio della mattina precedente e a 6 punti percentuali in più sull'equivalente tedesco. Ieri, il titolo di Stato greco con scadenza ottobre 2010 è addirittura passato al 6,4% dal 5,6% di mercoledì, un andamento che conferma l'estrema volatilità nella «short-end» del mercato del debito pubblico greco. È ovvio che si tratta di rendimenti insostenibili per il debito pubblico a breve, specialmente nell'eurozona. Ma soprattutto, si tratta di tassi che indicano due sbocchi contrapposti della crisi: da un lato, implicano un imminente default della Grecia; dall'altro, un'occasione di acquisto da non perdere per gli speculatori internazionali. È noto infatti che quando la curva dei rendimenti si appiattisce, con i tassi a breve che si allineano a quelli dei t-bond a lungo termine, la prospettiva di default è altissima. Ebbene, anche se Trichet ha escluso che l'Europa permetta alla Grecia di fallire, i rendimenti dei tassi a lunga continuano a riflettere questa possibilità, che per quanto teorica resta oggetto di dibattito.

Ma se la speculazione prende il controllo del mercato, l'effetto più immediato è proprio l'impennata dei tassi a breve: da titoli relativamente sicuri, i titoli a breve scadenza diventano così estremamente rischiosi, i loro tassi volano e i prezzi, che si muovono in direzione opposta dei rendimenti, crollano. Poichè è chiaro a tutti che un default della Grecia avrebbe effetti devastanti sull'intera eurozona, più che di scommesse su un default di Atene quelle degli speculatori sono vere e proprie scommesse sul fatto che Atene sarà costretta a chiedere il più presto possibile l'aiuto della Ue e del Fondo Monetario. E proprio qui scatterebbe il guadagno miliardario di chi sta accentuando la crisi greca sui mercati finanziari: non appena la Grecia riceve i prestiti internazionali, i prezzi dei titoli di Stato a breve tornano a salire e i rendimenti a scendere, generando fortissimi guadagni per chi ha speculato nella crisi acquistando i t-bond a prezzi di realizzo.

Insomma, mentre tutti i fari sono stati puntati - spesso ingiustamente - sugli effetti distorsivi dei Credit default swap (le polizze assicurative sul rischio di insolvenza dei bond), la grande speculazione internazionale sembra aver manovrato del tutto indisturbata direttamente sul mercato dei titoli di Stato a breve termine. Per la politica c'è abbastanza materia per riflettere. Aver invocato per mesi misure straordinarie per colpire gli speculatori che manipolavano il mercato dei Cds sul debito sovrano senza aver poi varato alcuna riforma o misura correttiva, non ha fatto altro che esacerbare gli animi e indirizzare la speculazione laddove nessuno si era spinto finora in Europa.
alessandro.plateroti@ilsole24ore.com

 

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